Bassiano, non c’eravamo persi in Semprevisa volevamo solo sapere l’orario dei bus

Bassiano, non c’eravamo persi in Semprevisa volevamo solo sapere l’orario dei bus

5 Agosto 2020 0 Di Fatto a Latina

Gentile Direttore,

La contatto in merito all’articolo da Lei pubblicato – e da Lei scritto – proprio ieri (in data 2/08/2020): “Romani si perdono in Semprevisa, li salvano i “galli” di Memmolix”. 

Mi chiamo Giulia e sono una dei due escursionisti che ieri si sono persi intorno al Semprevisa e che Lei ha definito implicitamente gente “da piano”.
Vorrei rispondere punto per punto ad alcuni dettagli da Lei sottolineati (e altri, se posso permettermi la franchezza e la sincerità che non sembra invece trasparire dalle Sue righe, inventati di sana pianta).

Sì, vivo a Roma, certamente non ho le montagne dietro casa ma questo non significa che non possa farne esperienza: faccio parte del CAI letteralmente dalla nascita, ho conosciuto le bellezze delle Alpi, delle Dolomiti, quando posso scalo e in vacanza cammino. Sempre.
So seguire un sentiero, so orientarmi di giorno e di notte, non sono una profana in termini di avventura, montagna, escursioni.

Non sarò la prossima Tamara Lunger, ma di certo non si può dire che proprio non faccia parte della “scuola della montagna […] nella gente che la conosce e la rispetta”. 

Forse dal Suo punto di vista, quello di un grande esperto (“[…] sezzesi come me, ma a me mi fece pure pigro e vi aspetto tutti al bar davanti a na birra fresca”) mi trovo all’ultimo banco? Sempre meglio che fuori dalla classe.

Detto ciò, da un lato vorrei sottolineare quanto fossero segnati male i sentieri (almeno cinque o sei si sovrapponevano e andavano intersecandosi, senza una legenda chiara e definita dall’inizio che potesse aiutare a distinguerli l’uno dall’altro, senza alcun numero se non cifre tirate fuori dal cappello a metà strada e sui bivi, sentieri che terminavano nel nulla senza alcun codice per evidenziarne la fine)… dall’altro mi rendo conto che il problema non Le compete, in quanto Direttore di un giornale di provincia.

Passiamo ad altro.

La nostra richiesta d’aiuto (anche qui sarebbe meglio correggere “dopo diverse ore di girovagare nelle sterpaglie con il caldo torrido ed in preda alla disperazione” in qualcosa di diverso, dato che la temperatura non arrivava ai 30 gradi, il bosco ci teneva freschi e lascerei la disperazione a chi davvero non ha speranze di sopravvivenza, a differenza nostra) è nata dalla volontà di chiedere informazioni: il 112 era l’unico numero disponibile in quel momento e abbiamo scelto di tentare.

Avevamo solo bisogno di orientarci e capire se eventualmente, scendendo a Bassiano, ci potesse essere un modo per poi riportarci a Carpineto (un autobus, una navetta). Non conoscendo l’entità dei paesini ignoravamo quanto ovviamente tutto ciò non fosse possibile.
Prima di terminare la telefonata già si erano mobilitati tutti: carabinieri, polizia municipale, protezione civile (alla quale va un grazie speciale per averci tratto d’impaccio e riaccompagnati a Carpineto, per non parlare dell’impegno e la passione di volontari che si fanno in quattro pur di aiutare la realtà territoriale che abitano).

Concentriamoci su questo.

Su ragazzi di diciannove e vent’anni che gestiscono un nucleo senza possibilità di ricevere donazioni, senza poter fare autofinanziamento, senza alcun tipo di retribuzione per un monte ore che va ben oltre il minimo sindacale.
Ci hanno raccontato che gli escursionisti in quelle zone si perdono spesso, è – cito testualmente – “all’ordine del giorno”. Ci hanno anche spiegato che i sentieri sono mal tracciati e le vie migliori (non segnate) le conoscono solo i cacciatori della zona.

Signor Direttore, Le chiedo scusa se sembrerò saccente e presuntuosa – se mi conoscesse noterebbe una ragazza invece molto solare e accogliente – ma devo proprio dirlo: avrebbe potuto dedicare una pagina del suo giornale all’impegno di questi ragazzi, avrebbe potuto elogiare l’organizzazione simultanea di tre comuni e delle loro energie, avrebbe potuto accennare al fatto che i sentieri di quella zona sono un intreccio senza molte spiegazioni.

Ha scelto di scadere nel luogo comune dei cittadini che scelgono la montagna e creano scompiglio per impreparazione, non proponendo alcun tipo di contenuto e inventando solo un’altra mirabolante storia come se ne leggono tante.

La mia critica non vuole colpire nulla che non sia questo modo di fare giornalismo: un modo povero e certamente poco stimolante, per chi legge e per chi – ci scommetto – scrive tali allegre favolette.

Le auguro un buon proseguimento di serata e La invito, se vorrà, a considerare le mie parole.
Sono parole di una come tutti, una come tutti quelli che potrebbero leggere il Suo giornale.

 

Cordiali saluti,

Giulia

LA RISPOSTA

Cara Giulia,

l’articolo, che non faceva nomi, era oggettivamente ironico. Tanto che ho messo alla berlina la mia antica pigrizia (di cui non sono pentito). Era ironia per , mi permetta, i troppi alpinisti da televisione, non è il caso vostro.

A 40 gradi non si va per i nostri monti (anche se dite siano stati 30), che paiono buoni (se lo faccia dire da uno che ha genia qui da secoli) ma non lo sono e se non li affronti con il rispetto dovuto evidenziano quel che sono: cattivi.

Non ho dubbi sulla vostra preparazione, sulla vostra prudenza. Sta di fatto che vi hanno soccorso.

Dice che non ci sono contenuti nella storia? Forse, è una storia ma se qualcuno rispetta la montagna invece che giocarci è un effetto positivo ed è utile. Non è il caso vostro, ma, sempre per sorridere, io al bar davanti alla birra fresca non mi sono mai perso e alla protezione civile ho offerto da bere.

Il 112, preciso, è telefono di emergenza non il numero verde del Cotral

PS: se si sono mobilitati tutti qualche ragione c’era. Per la precisione io non sono esperto di montagna, conosco la mia terra, sono contadino di piano e nei boschi non ci metto piede. Meglio sorridere tutti.

 

Grazie di averci letto, con affetto Lidano Grassucci