Covid 19 e la versione di Facile Penna sui luoghi comuni del neoparternalismo

Covid 19 e la versione di Facile Penna sui luoghi comuni del neoparternalismo

27 Ottobre 2020 0 Di Fatto a Latina

Sabato sera in attesa di un ennesimo provvedimento restrittivo causa Covid-19. Decido di non arrendermi a numeri e statistiche di contagi, che non seguo più e non voglio più capire. Non fido ormai più di nessuno, politici o (presunti) esperti. Non tollero più Sindaci, Governatori e Ministri in atteggiamento da sceriffi che, dopo aver disintegrato il sistema sanitario nazionale, mi spiegano che la colpa delle terapie intensive intasate è mia perché ad agosto ho fatto il bagno in mare senza mascherina chirurgica o mi vogliono far seguire da un drone quando faccio sport manco fossi Matteo Messina Denaro.
Non sopporto i ricchi cantanti ed attori che dalle loro belle case mi fanno la paternale e mi dicono che non ho nulla da lamentarmi, ma anzi dovrei godermi il mio privato guardando le serie tv di Netlix o componendo poesie. Mi sembra di vivere dentro uno spettacolo tragico. Covid solo Covid, fortissimamente Covid.
Pare si muoia solo di Covid-19, invece no, si muore pure di altro; dati alla mano molti più morti per infarto e cancro ogni giorno che del virus di Wuahn; forse molti malati non-Covid sono morti e moriranno perché operazioni e controlli sono stati rinviati e verranno rinviati ancora. Pare il Covid-19 sia l’unico parametro valido di ragionamento, pare che in nome del Covid-19 e della bio-sicurezza (leggete Agamben) si debba accettare qualsiasi restrizione della propria libertà.

Se parli di attività economiche che saranno spazzate via, ti si risponde che sicuramente sono evasori e quindi un po’ se la meritano. Un discorso razionale non è nemmeno plausibile ormai. Se dubiti della strategia in atto sei subito tacciato di “negazionismo”, pure se fin dall’inizio hai rispettato le prescrizioni sanitarie e lo fai ancora ( a dispetto di chi allora rideva ed oggi fa il pasdaran della salute). Se critichi le autorità invece sei anti-patriottico e sei come quei fascisti o comunisti o camorristi ( a seconda delle preferenze, tanto in questi casi ci si infila un po’ di tutto) che hanno sfasciato (tutti hanno partecipato agli scontri?) macchine e vetrine a Napoli .
Se ricordi che la vita è sempre rischio, sei uno sprovveduto e non rispetti il dramma dei defunti. Allora sconfiggo la pigrizia e vado al cinema in centro. Spettacolo delle 21.30. Sala vuota, praticamente spettrale. Se non fossimo in questa situazione , sarebbe cosa da raccontare come fantastica: Un cinema in centro tutto per me di sabato sera.
Il film è “Cosa sarà” di Francesco Bruni con un bravissimo Kim Rossi Stuart ed una stupenda Lorenza Indovina.
Una storia vera , credo autobiografica. Il protagonista si chiama Bruno Salvati, regista non troppo famoso di film comici che non fanno ridere, che un giorno si ritrova malato di mielodisplasia; una malattia del sangue che se non trovi un donatore compatibile, ti uccide. Il film racconta della ricerca del donatore, il cui esito produrrà uno sconvolgimento nella vita del protagonista, forse più grande e sorprendente della malattia stessa.
Una storia di sofferenza, paura e speranza, che ci ricorda come la vita sia qualcosa di più ampio e grande delle malattie e della morte e che la paura possa uccidere, certe volte, più di un morbo. Una delle scene che più mi ha colpito è quella in cui Salvati ricoverato perché sottoposto ad un duro ciclo di chemioterapia, viene convinto a presenziare alla visione di un film da lui diretto nella sala di proiezione interna all’ospedale (alcuni ospedali pubblici ce l’hanno, incredibile ma vero). Farà una pessima battuta sullo stato di salute del Cinema italiano e guarderà la pellicola con altri malati,
alcune dei quali terminali. Solo nei film possono capitare queste cose ormai. Nelle realtà invece i cinema ed i teatri vengono chiusi per evitare contagi, eppure è risaputo che siano luoghi frequentati solitamente da poche persone ed all’interno dei quali è facile e possibile limitare il numero di ingressi e tenere “distanziati” gli spettatori. Il Ministro Franceschini ha detto “ non li chiudiamo per l’affollamento nelle sale cinematografiche e nei teatri ma per ridurre la mobilità delle persone”. Certo, come non ricordare il raccordo anulare il venerdì sera intasato di autobus stracolmi di gente che va a vedere il Machbet al Teatro Argentina o Corso della Repubblica a Latina pieno di persone ammassate in attesa di vedere l’ultima fatica cinematografica di Małgorzata Szumowska Non è calato il sipario su cinema e teatri, è calato sull’intelligenza.

Davide Facilepenna