Che strana la notte di Latina

Che strana la notte di Latina

15 Novembre 2020 0 Di Lidano Grassucci

Eccola la città chiusa, con la sua gente nella tana e le sirene delle ambulanze fare pause al silenzio che torna nella sua malinconia. Si alza ora come all’inizio la bruma e i lampioni non fanno luce coperti dall’umido e fanno ombre. Strade vuote, luci appese, finestre serrate.

Non ci sono i ragazzi con la loro incoscienza che i vecchi hanno dimenticato e invidiano urlando di come loro erano meglio, omettendo il peggio che sono (siamo) diventati da vecchi.

Piazza del Popolo è una spianata, come una foresta abbattuta, come una donna spogliata, come un contadino senza il respiro di un albero di fico.

Le strade dove le auto facevano le vanitose ora sono solo rare e lagnose. Non c’è l’aroma di caffè, non c’è il contatore dei passi perduti nel giro di Peppe. Non ci sono occhi per guardare e furtive lacrime nascoste in eleganti signori che scivolano via, in donne che guardano la vetrina e se la portano via. Di ragazzi che sciamano a fare memorie future di città, come gatti a cercare amori.

Come è triste. Un’altra ambulanza, poi il rotore dell’elicottero che pare un ascensore. Non c’è più la strada, quel calpestio di centinaia di scarpe indaffarate.

Niente, solo il disegno di grattacieli abbandonati, di case che giocano a cavalcioni e si confondono muri e cornicioni, in un vuoto così pieno da non far vedere che forse… forse c’era altro da vedere.

Ora nuda la città fa impressione e passa un’ambulanza, di fretta.