2021/ Il vescovo Crociata e il “dono di una nuova speranza di ricominciare”

2021/ Il vescovo Crociata e il “dono di una nuova speranza di ricominciare”

1 Gennaio 2021 0 Di Lidano Grassucci

Come mai? Come mai i laici, o addirittura gli anticlericali, da sempre manifestano una incredibile attenzione alle parole della chiesa scrivendolo, rigorosamente, con la lettera minuscola? Sono cose che stanno nella storia di quei paesi dove la vita coincide con la cristianità stessa. Italia, Spagna, Francia, Portogallo respirano papale, ma bestemmiano quel potere che accompagna quel sentire. Noi, noi che sappiamo di questo ci stupiamo di come ci stupiscono le parole dei preti quando fanno i preti e non i vicerè, quando sono genuflessi davanti alla grandezza e non alteri a farsi grandezza. Noi, noi che rifaremmo tutto quello che abbiamo fatto assistiamo al fatto di ascoltare e in quelle parole trovare l’umano che coincide con cristiano. Mia nonna era devotissima e per lei la parola uomo era sinonimo di cristiano con cristiano per primo. Cercavo di dirgli: nonna esistono uomini non cristiani. Lei scuoteva la testa, era impossibile che una fede nata da un Dio che sceglie di farsi uomo non sia la fede di ciascuno, e così sono stato educato e così ho dovuto distinguere la parola dalla lingua, il potere dall’umiltà scegliendo la seconda. Ma il pensare alle parole mi è rimasta e ogni volta mi lascia, la parola, il seme del pensare, il germoglio di capire e il fiore di migliorare un poco il mio amore per il mondo intorno a te. L’ho messa lunga per dire che pubblico per intero il discorso del Vescovo di Latina, Terracina, Sezze e Priverno, Mariano Crociata. Per il seme che hanno dentro e non certo per genuflettermi. Ma loro, i preti, di difetti ne hanno mille i mille uno ma hanno della speranza e della misericordia la sapienza che ha un danzatore di tango nel perdersi nella passione e il loro capo, Francesco, ha ballato il tango.  (Lidano Grassucci, laico)

L’omelia di Mariano Crociata per l’anno nuovo

Inizia un nuovo anno solare e questo è già un buon segno, anzi un dono, una possibilità nuova, una speranza di ricominciare. Per questo abbiamo motivo di scambiarci gli auguri, e di farlo ora, non – come dice una vignetta che circola in queste ore – verso febbraio o marzo, per vedere prima come va.
Come andrà dipenderà anche da noi, da ciò che siamo e scegliamo fin da ora. Gesù nato per noi e la sua madre Maria, che oggi veneriamo in modo particolare per la sua divina maternità, vegliano su di noi e ci guidano. È questa la sostanza della benedizione che inaugura il nuovo anno e che la pagina di Numeri ci ripropone: «Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace».
Ora abbiamo la certezza che Dio ha posato il suo sguardo su di noi e non cessa di vegliare con la premura di una madre che non perde d’occhio il proprio bambino. È difficile ascoltare una simile affermazione in un tempo come questo, come di fronte alle immani tragedie che si consumano nella storia dell’uomo. Ma proprio la venuta del Figlio di Dio in mezzo a noi e il suo diventare uomo come noi ci autorizza a dire così. Egli non è venuto per giustificarsi o per dare risposte sui drammatici perché che ci assillano, ma per farsi carico della nostra condizione, per condurre l’esistenza umana comune come noi e con noi. Forse noi avremmo preferito un’altra forma rispetto a quella del farsi uno di noi, magari una forma che ci esonerasse da tutte le prove che colpiscono l’umanità, ma è certo che egli, scegliendo di diventare uomo, non si è sottratto a nulla, lasciandosi colpire come noi e insieme a noi. Questo ci dice l’incarnazione del Verbo e tutta la vicenda di Gesù fin sulla croce.
A noi il compito dell’accoglienza e della risposta della fede. Credere non è conoscere delle verità astratte, ma riconoscere e accogliere che Dio si è fatto uomo per me e per te, e lasciarsi toccare, magari sconvolgere e coinvolgere da un simile fatto, entrando in relazione con lui che ora è parte della mia condizione e della mia storia. Chi crede, vive la sua esistenza con Gesù e, con il suo aiuto, come lui.
Per questo motivo abbiamo la possibilità, e anzi la necessità, di abbracciare il nuovo anno come una grazia e una opportunità irripetibili.
Tutti gli interrogativi su come andrà o non andrà, o peggio tutte le scaramanzie e gli scongiuri, sono nel migliore dei casi inutili, se non psicologicamente deprimenti e moralmente deplorevoli. Ora, con la pandemia, abbiamo scoperto che il mondo e il futuro non sono nelle nostre mani, che il potere sul nostro destino è irrisorio; ma forse in tal modo abbiamo anche capito i limiti delle nostre possibilità e, nello stesso tempo, la necessità delle nostre responsabilità pur entro quei limiti.
Gesù è venuto a dirci che, per quanto possa apparire irrisorio ciò che possiamo fare entro i confini delle nostre limitate possibilità, esso è decisivo e può perfino capovolgere le sorti più temibili (o che tali appaiono a quelli che non hanno speranza). Questo è il tempo di riconoscere ciò che è nelle nostre possibilità e di volerlo con tutte le nostre forze. E la prima cosa da riconoscere essere nelle nostre possibilità è la cooperazione, il lavoro comune, l’aiutarci gli uni gli altri, il sostenersi a vicenda, la solidarietà. È triste lo spettacolo di chi sulla scena pubblica si agita per chi deve contare di più e avere più potere, mentre la tragedia si consuma e la responsabilità collettiva rischia di arenarsi nella inconcludenza e risolversi in paralisi generalizzata. Come sempre, i più pericolosi nemici del bene comune, e i più spregevoli, sono i cinici ai quali non importa di far andare tutto in malora se non possono averne un vantaggio di parte.
Un vero nuovo inizio ha come condizione uno scatto morale, di tutti e di ciascuno, ad attraversare e superare insieme la crisi. Se abbiamo un minimo di coscienza della gravità del passaggio epocale che stiamo vivendo, allora dobbiamo volere ciò che è necessario. In questo troviamo la sostanza del nostro essere cristiani: decidere e farci carico, come ha fatto Gesù e come egli stesso ce ne dà la possibilità con la sua costante presenza, riconosciuta con fede e speranza in un amore responsabile e operoso.
Oggi cade anche la Giornata mondiale della pace. Il Papa ci invia un messaggio che esprime puntualmente il nostro impegno: La cultura della cura come percorso di pace. Cultura vuol dire un modo di pensare, di agire e di vivere; perciò, l’invito è a pensare, agire e vivere prendendosi cura gli uni degli altri, di noi stessi, dell’ambiente. Prendersi cura è un progetto magnifico. In questo primo giorno dell’anno dobbiamo decidere proprio questo: prenderci cura, avere a cuore concretamente il bene gli uni degli altri e di tutti insieme, e agire in modo tale che esso venga raggiunto. Gesù farebbe la stessa cosa, anzi, lo fa, lo sta facendo in noi e attraverso di noi.

Mariano Crociata, vescovo di Latina, Terracina, Sezze, Priverno