I racconti della domenica: prosit con il Campari

I racconti della domenica: prosit con il Campari

14 Febbraio 2021 0 Di Lidano Grassucci
Il viaggiatore era stanco, ascoltava una vecchia canzone sulle illusioni e su amori tentati, finiti, rimasti come ricordi appuntati in una moleskine di copertina nera.
Il viaggiatore rileggeva e con il lapis appuntava i ricordi farfalla, quelli che se non li segni quando volano poi non li trovi più. E va alla pagina che aveva in memoria l’elastico e si fermo a rileggere, la grafite stava per dimenticarsi del foglio e sbiadiva. Ma si leggeva quasi più e lui cominciò a ripercorre e “restaurare” quella farfalla “acchiappata” a lapis.
“Cosa prendi?”, disse lei.
“Un Campari”, rispose lui.
Lei, curiosa: “mai bevuto un Campari”.
“Assaggerai e mi dirai. Signora può portare, per cortesia, due Campari soda”.
Quanti ne aveva bevuti di quei bitter scoperti dopo che si innamorò di Milano, della sua preghiera, del suo lavoro, della sua giocata di vivere così, alla scommessa per una nuova scommessa del mondo. Delle sue Alfa rosse, rosso Campari, del mutuo soccorso che anche i poveri erano eleganti.
Con gli amici che un Campari tira l’altro, e non si arrivava mai a sera e sul finire del giorno finivi per parlare della fine del mondo, delle utopie di paradisi strani, di rivoluzioni mai rivolte, di donne mai incontrate. No, no era l’India ed i suoi profumi alimentati da un Campari che scendeva in fretta, da bere.
La scritta sul taccuino era stata scritta rapida, a rileggerla quasi non seguivi le parole ma la linea della vecchia pubblicità delle Bialetti.
Lei aveva occhi vivi, vivi di mille domande da fare, lui occhi che si vedeva il segno del già bevuto, del passato di osterie che puzzavano di umano, ma non del meglio dell’uomo, ma del suo disperare. Il Campari era un vento che veniva di lontano, come una boccia con i pesci rossi in un bordello di periferia.
“Buono questo Campari”
Già, buono che sapeva di buono. Buono con il limone tagliato a fetta che dentro ci vedi le anime degli spicchi e l’agrume è fiore. Buono a scoprire il buono del mondo ed era scritto a matita, grafite si pagina bianca, pagina risposta.
Ora ricordava lei era alla scoperta del mondo, come marziano su questa Terra, o terrestre su Marte. Il Campari quella volta fu complice, lei si mise a sorridere, “ordinane un altro”. E lui appuntò, lo trasformo per sempre e la testa pareva cantare, si trovò ad essere guardato. Il Campari era un’auto rossa che correva di già, lei con la sciarpa che il vento faceva diventar coda, gli occhiali scuri, di corsa in Riviera. Lui con i guanti senza dita per sentire il volante: l’Aurelia “puzzava” di Francia. “Che motore”, disse lui. “Lei sentiva un brivido e “perdiamoci nel Campari”. Il viaggiatore: “non ho bussola e pudore” e le mani disegnarono le sue gambe, timide a cercare, audaci ad osare, screanzate senza chiedere.
Forse non era vero niente, ma il lapis scrisse quel che il Campari dettava ed ora lui la ricordava come fosse vera, ed era bellissima e profumava di lavanda. Prosit con il Campari.
Ma da quando non prendeva un Campari, ma da quando non immaginava rosso Campari. Storie confuse di fantasie diffuse e il piacere di raccontarle come si racconta di draghi.
Nella copertina Fortunato De Pero