La gogna, l’assoluzione di Lodi e la lettera di scusa di Di Maio

La gogna, l’assoluzione di Lodi e la lettera di scusa di Di Maio

28 Maggio 2021 0 Di Lidano Grassucci

Sono stato picchiato, ma mi sono difeso bene. A uno di quelli gli ho rotto la mano: mi ci è voluta tutta la faccia, ma ce l’ho fatta.

Woody Allen

 

 

Sono socialista, ipergarantista amo le difese e le capisco ho sempre difficoltà a capire le accuse. Sono socialista e vorrei far vivere meglio l’uomo che c’è con i suoi errori e amo i difetti, non mi piacciono gli uomini nuovi, i puri e i morali. E mi piace ciò che vedo, il dietro detto con malevolo piacere è dire di nulla.

Stamane leggo su Il Foglio un lettera di Luigi Di Maio, uno dei leader dei 5 Stelle, quelli che volevano mettere alla gogna il resto del mondo in nome della loro esclusiva della virtù e mi colpisce perchè viene da chi ha fatto di moralismo politica.

Un vizio quello del moralismo sugli altri nella immoralità di se che è “sport nazionale”.

Di Maio chiede scusa al sindaco di Lodi Simone Uggetti che dopo 5 anni di gogna, dopo essere stato costretto alle dimissioni è stato assolto. Sì assolto a fronte di 5 anni di condizionali: “sarebbe stato”, “avrebbe fatto” che lo hanno distrutto come amministratore, come uomo.

I diritti della difesa non sono ostacoli per l’accusa ma garanzia per gli innocenti, diritto davanti ad uno Stato che ha mezzi e uomini incoparabilmente superiori al singolo cittadino. Le garanzie non sono state messe lì come il sale per l’acqua della pasta, ma perché il potere, ogni potere, e in particolare quello che dispone della libertà delle persone deve avere un argine.

DI Maio ricorda la campagna social contro il sindaco di Lodi, le invettive senza mai dubbio alcuno.

Il sindaco di Lodi è un uomo, in carne ed ossa, non un bersaglio di carta pesta, un feticcio.

Luigi Di Maio chiosa la sua lettera e spiega le sue scuse: “penso soltanto che glielo dovevo, da persona e da essere umano, prima ancora che da uomo delle istituzioni”

Ogni volta che accusiamo domandiamoci delle nostre debolezze e non delle altrui virtù. Domandiamo degli uomini che siamo e non degli uomini nuovi che vorremmo essere o che pretendiamo che siano gli altri.