I “se” del massacro del Circeo nel tempo di Zan

I “se” del massacro del Circeo nel tempo di Zan

7 Novembre 2021 0 Di Maria Corsetti

Una ventina di giorni fa ho visto La scuola cattolica. Il film che racconta il prima del delitto e il delitto del Circeo. Vietato ai minori di diciotto anni. Che possono però tranquillamente vedere che le scene cult di Arancia meccanica su YouTube, che affrontano il viaggio della memoria ad Auschwitz e quindi dovrebbero essere preparati alle follie della mente umana. Ma questo è un altro discorso.

 

Il discorso qui è sul processo del Circeo. (Su YouTube “Processo per stupro”. È riportata una vicenda successiva, i richiami sono fortissimi e anche espliciti).

Perché il delitto del Circeo è più famoso per il processo che per il fatto. Almeno fino al film di Stefano Mordini.

In una lettura capovolta di tutto quanto è stato detto fino a oggi di quel processo, la domanda è, anzi le domande sono: se quel processo avesse mantenuto toni corretti, moderati, se quella difesa fosse stata elegante, quel processo avrebbe avuto lo stesso impatto mediatico? E, di riflesso, sarebbe stato quell’impulso travolgente alla riflessione, scatenata dallo sdegno e culminato nella legge 442 del 1981? Se quella difesa non fosse stata così fedelmente specchio dei tempi, sbattendo in faccia la realtà a tutti, di riflesso quale sarebbe stato il movimento di indignazione?

Era il 1975, era il cuore degli anni ’70, gli anni delle grandi riforme, della società che tentava di farsi moderna. Ma le grandi riforme della democrazia non hanno i tempi spicci delle rivoluzioni.

C’è chi guarda al futuro e chi ama troppo il passato. Chi vuole cambiare e chi è terrorizzato dai cambiamenti. Erano anni in cui il codice penale si fregiava di normare fattispecie come il matrimonio riparatore, il delitto d’onore e l’abbandono di un neonato per causa d’onore. Erano anni in cui la violenza sessuale era rubricata tra i delitti contro la moralità e il buon costume. Quindi lo stupro di una ragazza era considerare un’offesa al buon costume. Se stai zitto il buon costume è salvo. Sulla scorta di questo assunto Angelo Izzo, uno dei tre assassini, aveva violentato una ragazza un paio di anni prima. Se l’era cavata con poco. Una condanna mai scontata. Per il cervello collettivo del tempo, la ragazza probabilmente se l’era cercata e aveva finito per inguaiare un giovane di buona famiglia, forse voleva incastrarlo.

Siamo in un mondo nel quale vigono ancora, e rimarranno in vigore per i successivi sei anni, articoli del codice penale tali che chi abbia ad esempio, ucciso la figlia o la sorella in un impulso di ira per questioni di onore se la cava con una pena dai tre ai sette anni. Se la stessa persona, per salvare l’onore proprio o di un prossimo congiunto, abbandona un neonato – fregandosene a questo punto dell’opinione della mamma, terrorizzata all’idea del rigetto sociale che ci sarà per lei e per quella povera creatura – la pena è da due mesi a un anno. Se per disgrazia il neonato muore la pena è da due a cinque anni. No, nessuno parla di infanticidio.

Sono gli anni in cui ancora il matrimonio, che l’autore del reato contragga con la persona offesa, offesa sessualmente, estingue il reato, anche riguardo a coloro che sono concorsi nel reato medesimo; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali.

Il rifiuto di Franca Viola sicuramente non fu unico, ma unico fu l’appoggio della famiglia di Franca, che la sostenne nel rifiuto delle nozze riparatrici. Con un altro padre, Franca, dopo essere stata sequestrata, malmenata e stuprata per otto giorni, si sarebbe presentata all’altare due settimane dopo.

In un contesto del genere non mi ritengo sorpresa dalla linea difensiva adottata dai legali degli imputati. In un mondo del genere cosa ci si aspettava? Una difesa pacata?

I legali avevano il codice dalla loro parte, avevano la cronaca dalla loro parte, avevano l’anima collettiva dalla loro parte. Il cervello comune, nel tentativo di riportare i fatti alla normalità avrebbe accettato che in fondo le ragazze se l’erano cercata. Le brave famiglie con le brave figlie, quella borghesia la cui audacia si esprimeva nell’effimero acquisto della lavastoviglie, sarebbero state rassicurate da quella difesa.

Il delitto del Circeo non era percepito come qualcosa che “poteva succedere a chiunque”, ma come qualcosa che se era successo c’era un perché. Che la difesa degli imputati andasse a evidenziare i perché offerti dalla società, prima ancora che dal codice penale non avrebbe dovuto stupire nessuno. E non avrebbe stupito proprio nessuno, sarebbe passata per qualche giorno sulle pagine dei quotidiani e poi archiviata lì. La sicurezza che se ti tieni la figlia stretta a casa non succede proprio niente e la porti illibata all’altare.

Poi accadde l’imprevisto, non per i difensori che sapevano perfettamente chi c’era dall’altra parte, a difesa della parte civile. L’imprevisto fu per la società, per quel cervello comune rassicurato. L’imprevisto fu Tina Lagostena Bassi, ma in fondo in questo brodo di provincia italiana, fatta di tanti volti e che era provincia anche nelle grandi città, chi la conosceva.

I legali della difesa, gli avvocati Angelo Palmieri e Giorgio Zeppieri, le fornirono un assist straordinario e il processo entrò nella storia. Cambiò la storia.

Se la difesa avesse mantenuto toni dimessi, quanto si sarebbe sgonfiato il gigante mediatico?

Nella terra dove una bambina si fa uccidere per rimanere pura, ma prima di morire perdona il suo assassino, in questo contesto, difficile ammetterlo, ma sarebbe ora di ammetterlo, il processo per il delitto del Circeo è stato come Giuda nella storia di Cristo. Puoi aborrirlo quanto vuoi, ma ha cambiato la storia.

In una esecrabile storia dei se: se una ragazza non fosse morta, se gli imputati avessero detto di voler sposare le ragazze, se le ragazze, ormai devastate, avessero accettato, il codice di allora avrebbe estinto il reato anche riguardo a coloro che erano concorsi nel reato medesimo.

 

Immagine di copertina: tratta dal documentario “Processo per stupro”. 

Da Wikipedia: Processo per stupro è un film del 1979 realizzato da sei giovani programmiste, filmaker e registe: Loredana Rotondo, Rony Daopulo, Paola De Martis, Annabella Miscuglio, Maria Grazia Belmonti, Anna Carini. Fu il primo documentario su un processo per stupro mandato in onda dalla RAI. Ebbe una vastissima eco nell’opinione pubblica relativamente al dibattito sulla legge contro la violenza sessuale.