Papà se fossi qui ti avrei fatto un regalo, ti avrei chiamato tata

Papà se fossi qui ti avrei fatto un regalo, ti avrei chiamato tata

19 Marzo 2022 0 Di Lidano Grassucci

Non posso farti un regalo. Ora che ci penso non te ne ho mai fatti, manco uno. Se non quella volta che al primo stipendio ti portai del vino. Si una bottiglia di lusso da 300 mila lire. Ti dissi “Papà è per te”. Tu, già tu con quegli occhi così azzurri che ti ci potevi tuffare e pareva il mare. Tu, senza dire nulla hai fatto finta di crederci, primo bicchiere, poi il secondo, poi… come siamo strani papà, non sappiamo ricevere le carezze, ci imbarazziamo dell’amore, fuggiamo alla buona coscienza che danno i dono e “va be, ma mo portame na cica de vino”.

Ora capisco, facendolo, quel che hai fatto: ti sei sentito investito di un amore che noi, noi, non sappiamo portare di cui non ci sentiremo mai degni.

Poi basta, è finita lì. Le cose straordinarie non hanno replica, come quando guardavi tuo padre che era mio nonno e non avevi coraggio di dire quanto era per te e lui faceva altrettanto con te e io nel tempo il medesimo rosario.

Non posso farti un regalo oggi. Ora che ci penso non te ne ho mai fatti, manco uno. Difficile per gente di selva fare le cose che fanno nelle case calde piene di educazione, di cortesia, di saper stare al mondo ma noi abbiamo “rubato” lo spazio di stare a questo mondo e nel furto non abbiamo avuto il tempo di prendere oltre al pane le rose.

Papà vorrei farti un regalo, ma non ho mai imparato a farlo, come te non sai ed ora non posso. Ma sono certo che se tu fossi qui non te lo farei.

Strano rimorso. Ed ora ricordo di te. Si papà, di come tu facevi a tuo padre, mio nonno, di come questi gatti selvaggi che siamo hanno la condanna eterna a non conoscere amore.

Di sera, quando il giorno era finito e la notte era sipario per domani veniva sotto casa del padre, mio padre, e gridava: “tata!” “tata!”.
Tata era il modo con cui nella mia lingua, quella setina, si chiama il padre, anni dopo ho scoperto che anche in romeno si chiama cosi ogni mondo ha medesimo padre.

Tata, che è affetto delle ti, con tutte le sue morbidezze.

Io, mio padre, lo chiamavo “papa’” in italiano. Ma tata mi ha sempre affascinato. L’ho sentito solo da mio padre e dalla mamma di una mia amica che un poco da madre mi ha fatto. Tata, un affetto che ha sapore di antico, ha sapore di quel rapporto speciale che nasce quando senti che il tempo non è più proprio tuo, quando sei grande da non aver bisogno di niente, libero. Tata era mio nonno, padre di padre, così morbido quell’essere chiamato così, così duro lui figlio di montagne difficili, di paludi malsane e di tanto, ma tanto, orgoglio che quasi ci mangiavi senza poter digerire

Mio padre, occhi azzurrissimi, malinconia un poco prepotente.

Ma tata mi è rimasto, così intimo chiamare il padre. Nella mia terra il padre si chiama tata, il Papa dice che nostro signore chiamava il padre abba, quelle a di amore per questo amore, comunque lo chiami. Tata, gridava mio padre per chiamare suo padre e mi sentivo figlio.

E oggi ti dico: grazie tata. Perché? Lo sai, lo so.

Se fossi qui ti avrei fatto un regalo ti avrei chiamato tata, così tu facevi un regalo al tuo.

 

Nella foto: mio padre con mia madre.