Pino D’Alessandro, il Presidente dimenticato

Pino D’Alessandro, il Presidente dimenticato

6 Novembre 2022 0 Di Emilio Andreoli

La storia dello sport a Latina inizia nel dopoguerra, ma per cominciare a vedere significativamente qualcosa, bisognerà attendere i primi anni sessanta. La città aveva ereditato dalla giovane Littoria solo lo stadio con la sua squadra di calcio e l’oratorio dei Salesiani, dove si poteva praticare la pallacanestro. Per il resto macerie e la conta dei danni. Il ritorno degli sfollati rese necessaria, e prioritaria, la ricostruzione degli edifici danneggiati. Per lo sport ci si arrangiava, ma la mancanza di una persona di riferimento si faceva sentire. Solo nel 1963 venne dato l’incarico, come Presidente Provinciale del CONI, a un uomo che avrebbe segnato la storia dello sport a Latina, Pino D’Alessandro.

 Ci sono personaggi che lasciano un segno profondo del loro passaggio, ma vanno raccontati per non perderne le tracce, e Pino D’Alessandro è uno di questi. Latina dovrebbe rendergli onori e meriti. Io sono solo un semplice biografo e il mio compito è quello di non smarrire la memoria di persone, più o meno note, che hanno contribuito al vissuto della nostra città. Per le cose ufficiali, però, occorrono le istituzioni.

Pino D’Alessandro quando era un giovane giocatore di basket. Giocò fino a quarant’anni.

Due anni fa, sapendo del lavoro che stavo svolgendo sulle storie di Latina, mi chiamò al telefono Valentino Vaccaro. Essendo stato un grande sportivo, mi chiese di raccontare qualcosa sullo sport. La lunga chiacchierata telefonica si concluse così: “Emi’, e poi devi scrivere la storia del mitico presidente del CONI Pino D’Alessandro”. Risposi che l’avrei scritta volentieri, ma non avevo agganci e neanche lui, ammise. Purtroppo Valentino è venuto a mancare a maggio di questo anno, e proprio a lui voglio dedicare questo racconto.

Qualche giorno fa ho incontrato il mio amico giornalista Paolo Iannuccelli, profondo conoscitore del basket pontino di cui ha scritto diversi libri. L’ultimo, presentato qualche settimana fa al Circolo Cittadino, “Gente di basket”. Mentre conversavamo, gli ho confidato che avrei voluto scrivere sul presidente D’Alessandro e lui, avendolo conosciuto bene, mi ha dato subito piena disponibilità.

Pino D’Alessandro, il grande Presidente

Pino D’Alessandro nasce il 9 gennaio del 1927 ad Airola in provincia di Benevento. Di famiglia benestante. Già da ragazzino dimostra di essere portato per lo sport. A tredici anni pratica l’atletica leggera, ma poi decide per il basket, grazie alla sua statura: è alto un metro e novantadue centimetri, un’altezza non indifferente per quei tempi. Gioca nella squadra del Benevento, città che ha grande tradizione nella pallacanestro e poi nella Partenope Napoli, in serie B. Nel frattempo si diploma geometra e, per guadagnare qualche soldo, fa anche l’arbitro di calcio in giro per la Campania.

Nel 1950 vince un concorso e viene assunto come funzionario nell’Ufficio Tecnico Erariale di Latina, ma non abbandona lo sport. Inizia a giocare nella squadra di pallacanestro della nuova città. Dimostra subito le sue doti: è un bravo pivot e non disdegna di giocare ala, dove riesce spesso ad andare a canestro in gancio, sia di destro che di sinistro, che lui chiama in dialetto tiro a ungino. Per quei tempi è un’innovazione. Ed è anche tra i primi a tirare in sospensione. Gioca a tutto campo: nel reparto difensivo è giocatore arcigno, dove mostra tutto il suo carattere. Per la squadra diverrà un leader carismatico. Lui si definisce un guerriero Sannita.

La sua preparazione atletica è quasi maniacale. Almeno un’ora al giorno la dedica a un allenamento individuale per poi unirsi ai suoi compagni. Nel 1951 viene nominato consulente tecnico della squadra. Anche se arrivato da poco a Latina, si è fatto già nuovi amici: i fratelli Fratini, Cavalcanti, il conte Rangone, Zanetti, Populin, Anastasia e tanti altri. Le sue squadre saranno, la Società Pallacanestro Latina, Libertas Latina e l’Enal. Giocherà all’arena del Circolo Cittadino e al COS, nell’oratorio San Marco.

Nel 1954 dopo un incidente con la Lambretta viene ricoverato in ospedale. Con quarantaquattro punti di sutura sulla gamba, si presenta in pigiama per giocare una partita importantissima contro la Cestistica San Saba di Roma. D’Alessandro si batterà come un leone e contribuirà alla vittoria, andando a canestro ben dodici volte. A fine partita è stremato per la gioia e la fatica. Viene acclamato dal pubblico e dai suoi compagni di squadra, ma lui sviene e sarà riaccompagnato al vicino ospedale di via Emanuele Filiberto.

A trentacinque anni il suo caro amico Giulio Onesti, Presidente Nazionale del CONI lo nomina Presidente Provinciale di Latina. Il suo obiettivo primario sarà quello di far praticare lo sport a tutti i ragazzi, anche per quelli che non hanno disponibilità economiche, senza dimenticare chi abita nei borghi. Tiene soprattutto al nuoto. Vorrebbe che tutti imparassero a nuotare, data la vicinanza con il mare.

Nel 1969 il suo amico Giulio Onesti inventa i Giochi della Gioventù che coinvolge tutte le città italiane con le varie scuole, società sportive, centri di addestramenti giovanili del CONI. Tutte le discipline sportive sono coinvolte. Il presidente D’Alessandro partecipa fattivamente al progetto e gli sarà affidata l’organizzazione della finale dei Giochi allo stadio Olimpico di Roma. Successivamente sarà l’ideatore dei giochi estivi e invernali. Le settimane bianche nelle scuole medie, inizieranno a svolgersi grazie a lui.

A Latina si fa promotore per equiparare le atlete agli atleti. Inoltre inventa i Giochi Studenteschi, portando in città quattromilacinquecento persone, arrivate da tutta Italia. Pure i comuni limitrofi beneficeranno di quell’ondata di gente. D’Alessandro è il primo a credere nel turismo sportivo e, grazie alla scuola di atletica leggera di Formia, riesce a far intervenire anche grandi atleti come testimonial o come partecipanti alle competizioni.

La sua chicca però sono i tornei internazionali di basket. Già nel 1966, nello stadio comunale di Latina, fa attrezzare un campo, di fronte la tribuna coperta, per ospitare la squadra americana più famosa al mondo, l’Harlem Globetrotters. Poi negli anni ’74, ’75 e nel ’76 con le squadre più blasonate del momento, come lo Spartak Leningrado, China Martini Torino, Cinzano Milano, la Simmenthal e la più forte d’Europa, la Stella Rossa di Belgrado. Tutte le partite saranno trasmesse in diretta Rai.

Foto tratte dal libro “Pino D’Alessandro il Presidente”

Nel 1980 organizza al palazzetto dello sport, Italia Stati Uniti di basket, ma i giocatori americani su quel pavimento non vogliono proprio giocare, pretendono il parquet e il Presidente, pur di farli rimanere a Latina, lo fa montare a sue spese. Nel 1983 firma personalmente centoventi milioni di lire, in cambiali, che pagherà di tasca sua, per salvare il Latina calcio e farla ammettere alla serie C. In quegli anni fa costruire diversi impianti sportivi polivalenti, nei vari quartieri e nei borghi della città. Insomma lo sport a Latina è lui, però l’invidia è tanta. Il Presidente ha tanti amici, ma anche molti nemici, e una lettera anonima decreterà il suo ineluttabile declino dopo trentasei anni di presidenza.

Il ricordo del giornalista Paolo Iannuccelli

Paolo come hai conosciuto Pino D’Alessandro?

“Ci siamo conosciuti sui banchi di un tribunale. Mi aveva denunciato per diffamazione per un articolo che avevo redatto sul giornale in cui lavoravo, il Pontin Sportivo. Da quella causa nacque un amicizia sincera con D’Alessandro”

Che idea ti sei fatto di lui quando lo hai conosciuto?

“Che era una persona capace, un grande organizzatore di eventi. Un uomo carismatico, a volte troppo severo, addirittura militaresco. L’educazione e il rispetto, per lui erano fondamentali. Non amava essere contestato , ma all’occorrenza sapeva essere molto generoso. Se aveva in testa qualcosa la faceva a qualunque costo, pur rimettendoci di tasca propria. Con il sindaco Nino Corona fu anche assessore e pure in quel caso si distinse per le sue capacità. Era instancabile, il pomeriggio si dedicava anche alla sua professione”

Cosa sai del suo declino?

“D’Alessandro è stato Presidente per trentasei anni e più di qualche nemico se lo era fatto, anche in virtù del suo carattere. L’unica cosa che gli si poteva imputare, era quella di scavalcare la burocrazia. Tantissime volte, senza aspettare le disposizioni da Roma, aveva anticipato soldi personali, pur di realizzare i vari progetti per la città e la provincia. Nel 1998 venne avviata un’inchiesta della magistratura nata da una lettera anonima, dove si denunciava la poca chiarezza amministrativa del Comitato Provinciale. Il Presidente, con grande amarezza, diede subito le dimissioni. Pensa che una delle contestazioni era sull’incarico a una ditta per aver prelevato, sul lungomare di Latina, un po’ di sabbia per il salto in lungo: c’era una gara e i tempi erano strettissimi. Come sempre anticipò lui e poi, quando arrivarono i soldi da Roma, se li riprese”

Come andò a finire la vicenda giudiziaria?

“Pino D’Alessandro venne condannato, ma la motivazione terminava così: “Non per fini di arricchimento personale”, e questa frase la dice tutta sul Presidente D’Alessandro. Dopo fu lasciato solo. Gli rimasero accanto suo fratello Bruno, la nipote Eleonora e qualche fedelissimo. Quando non hai più né potere e né soldi, i falsi amici scappano”

Sono passati dieci danni dalla sua scomparsa. Una tua riflessione?

“Penso che un personaggio così rilevante andrebbe ricordato per ciò che ha fatto e lasciato nella nostra città”

Ricordarlo in che modo?

“Semplice! Intitolargli il campo Coni di Latina”

 

Ricordo benissimo il Presidente D’Alessandro in giro per la città, sempre in abito e cappotto blu, con il suo piglio severo che metteva soggezione. Una di quelle figure storiche a cui ero abituato, peccato non averlo conosciuto personalmente. Ringrazio Paolo Iannuccelli per la sua preziosa collaborazione, e concordo con lui: l’intitolazione del campo Coni al Presidente Pino D’Alessandro direi che è d’obbligo. Nel suo lungo mandato, sono state eseguite ottantacinque realizzazioni… e noi abbiamo il dovere morale di non far evaporare la sua figura.