Sergio Ban, ricordando l’artista dall’indole hippy

Sergio Ban, ricordando l’artista dall’indole hippy

20 Novembre 2022 2 Di Emilio Andreoli

In questi giorni si sta svolgendo a Roma, la Fiera Internazionale di Arte Moderna e Contemporanea a La Nuvola di Fuksas, all’Eur. Tra gli espositori la gallerista di Latina Lidia Palumbo. Proprio parlando con lei, sono usciti alcuni nomi di artisti pontini, del passato, che avrebbero meritato maggior risalto a livello nazionale e internazionale. Il primo nome è stato quello di Rinaldo Saltarin, un grande pittore quasi del tutto dimenticato, che morì indigente nel quartiere delle case popolari, dove viveva, alla fine degli anni sessanta. Su di lui sto facendo delle ricerche, sperando poi di raccontare anche la sua storia. Un altro nome uscito dalla chiacchierata con Lidia, è stato quello dell’artista Sergio Ban, ma contrariamente a Saltarin, Ban a Latina è ben ricordato, ma la sua storia personale magari la conoscono in pochi e quindi ve la voglio raccontare.

 La storia dell’arte a Latina arriva da lontano, dapprima con i pittori del settecento e dell’ottocento che venivano a raffigurare lo scenario delle Paludi Pontine, e poi, negli anni trenta, con le persone arrivate nella nuova città, che avevano la passione per l’arte e l’hanno arricchita con le loro opere. Vi ho già raccontato di alcuni di quegli artisti: il futurista Pierluigi Bossi, in arte Sibò, Ilde Tobia Bertoncin e Addis Pugliese. Premetto che non sono un esperto d’arte, sono solo un appassionato. Adoro i quadri e adoro perdermi, mentre li osservo.

Sin da bambino, frequentando la galleria d’arte di mio padre, aperta alla fine degli anni settanta, che si chiamava l’Approdo, ho iniziato ad ammirare le opere dei vari artisti della città. Alcuni li ricordo molto giovani, poi divenuti pittori affermati, come Antonio Farina, Francesco Paolo Martelli, Alberto Serarcangeli, Mario Iavarone, Pietro Piccoli, Gino Di Prospero, Claudio Cecconi ed altri ancora. Latina in quegli anni ha vissuto un importante movimento artistico. In quel movimento c’era anche Sergio Ban, pittore e scultore di notevole spessore, e questa è la sua storia.

Sergio Ban: la sua vita, la sua arte

Sergio Ban nasce a Fiume il 22 giugno del 1948, primo figlio di Giovanni, falegname ebanista, e di Edvige. È ancora in fasce quando i genitori sono costretti ad abbandonare, con grande dolore, la loro città. Fiume, dopo la guerra, non è più italiana, ormai è territorio iugoslavo sotto il regime di Tito. Gli italiani, che sono di gran lunga la maggioranza della città, lasciano le loro proprietà per raggiungere l’Italia. Giovanni prepara due grossi bauli, costruiti con le proprie mani, con all’interno i suoi averi, compresi gli attrezzi da lavoro, e li spedisce in un grande magazzino a Trieste, dove vengono raccolti i beni degli esuli istriani.

Uno dei due bauli costruiti da Giovanni Ban, per spedire gli averi di famiglia da Fiume a Trieste e poi a Udine

Inizia così il calvario della famiglia Ban, che inizialmente verrà mandata in un centro di prima accoglienza a Trieste. Dopo di che, trasferita nel campo profughi di Udine. Ma la destinazione finale sarà un’altra, nella città dove qualche anno prima il fratello di Giovanni, Vittorio, intuendo quello che sarebbe accaduto a Fiume e in tutta l’Istria, ha trovato una sistemazione. Convince così il fratello Giovanni a raggiungerlo, perché lì ci sono possibilità di lavoro. Giovanni e Edvige, con il piccolo Sergio, decidono di lasciare Udine per quella nuova destinazione.

Fiume, marzo 1950 il piccolo Sergio gioca con il suo primo giocattolo costruito dal papà

Sarà un lungo viaggio in treno. C’è silenzio tra Giovanna e Edvige, non hanno voglia di parlare, sono ancora travolti da quel dolore immenso per aver dovuto lasciare la loro casa e la loro vita. L’unica cosa che gli resta sono quei due bauli, con dentro tutto il loro passato. Quando arrivano a Latina, e vengono accolti nel campo profughi nell’ex caserma 82, le condizioni non sono certo migliori rispetto a quelle di Udine. All’interno della struttura, le famiglie sono divise solo dalle tende. E poi proprio in quel campo il piccolo Sergio, che ha quattro anni, contrae la tubercolosi.

Sergio, per curarsi, passerà tre anni nel sanatorio di Fara in Sabina, in provincia di Rieti. Quel lungo periodo lo vivrà come un abbandono. Il papà riuscirà ad andarlo a trovare rare volte e la mamma ancora meno, perché sta attendendo il secondo figlio, Giancarlo. Un trauma che Sergio porterà per lungo tempo dentro di se. In quella permanenza forzata, da lui considerata in seguito un esilio, le uniche cose che lo rendono felice sono i giocattoli, creati da lui stesso con il cartone, e i suoi infiniti disegni. In quei tre anni consumerà centinaia di matite.

Il giovane Sergio Ban nella bottega di suo padre

Quando torna a Latina ha sette anni. I suoi genitori hanno una nuova casa in un quartiere che si chiama Villaggio Trieste, dove il papà ha aperto una piccola bottega per proseguire il suo lavoro di restauratore e falegname, in seguito la trasferirà in via Legnano. È molto bravo Giovanni, proviene da una scuola asburgica. Nonostante tutto, vorrebbe migrare in sud America, per lasciarsi tutto alle spalle, ma la moglie Edivge si oppone con determinazione e alla fine Giovanni abbandonerà l’idea. La sua terra di origine gli rimarrà così tanto nel cuore che, per non fare torto alla sua Fiume, non vedrà mai il mare di Latina.

Sergio Ban nella sua bottega/laboratorio di via Legnano

Sergio inizia da ragazzino a frequentare la bottega del padre, perché ama lavorare il legno e il restauro. Dopo le scuole medie si iscrive all’Istituto d’Arte di Velletri, perché Latina non offre ancora nessuna scuola artistica. Il padre gli dà giusto i soldi per il biglietto della corriera, e lui pur di risparmiare, il più delle volte, fa l’autostop. Dopo le superiori frequenta l’Accademia delle Belle Arti di Roma. Per arrotondare continua a lavorare nella bottega del papà che riconosce le sue doti, e più cresce e più gli affida lavori importanti.

“Lungo il fiume Ninfa” opera del maestro Sergio Ban

Alla fine del percorso accademico, si diploma scenografo sotto la guida esperta di Toti ScialoJa, importante pittore e poeta italiano. Dopo la morte di suo padre, prende in mano la bottega e inizia a dedicarsi all’arredo artistico e alla sua arte: scultura, pittura, ceramica e incisione. La prestigiosa mostra della Quadriennale Nazionale D’Arte, nel Palazzo delle Esposizioni di Roma del 1975, sancirà il suo debutto nel mondo dell’arte nazionale. Seguiranno tante altre mostre: Bologna, Roma, Bari, Parigi, Latina, Tokio, Hivinka (Finlandia), Padova, Trento, Firenze, Milano.

Il murales del maestro Sergio Ban nell’ex campo profughi di Latina
Foto Tonino Mirabella

Estate 2009: Sergio Ban purtroppo si ammala e il 2 giugno del 2010, dopo nove mesi di sofferenza, muore. A lui è intitolata la sala circolare dell’edificio di fondazione OMNI in piazza Celli a Latina. All’interno della facoltà di Economia e Commercio, ex 82 ed ex campo profughi, dove arrivò con la sua famiglia nel 1952, c’è un murales realizzato da Sergio nel 1991, che però necessita di un restauro, richiesto già da alcuni anni. Si spera in un sollecito intervento di recupero prima che sia troppo tardi. L’Associazione Sergio Ban, fondata dalla sua compagna Carmela Anastasia, segue tutto ciò che riguarda l’artista.

Una delle tante sculture del maestro Sergio Ban

Carmela Anastasia, racconta Sergio Ban

Incontro Carmela Anastasia, per gli amici Carmelita, al museo d’arte diffusa MAD di Fabio DAchille, dove ha anche sede l’Associazione Sergio Ban. Conosco Carmelita da quando eravamo entrambi ragazzi. Lei fa l’archeologa, ma per amore del suo Sergio cura anche l’associazione che ha fondato dopo la sua morte.

Il maestro Sergio Ban con la sua compagna, l’archeologa Carmela Anastasia

Carmelita, come hai conosciuto Sergio?

“Ho conosciuto Sergio l’11 settembre del 1993 nella sua bottega, così chiamava il suo laboratorio. Ero andata ad accompagnare una mia amica, dovevamo restare cinque minuti. Rimanemmo con lui a parlare per due ore. Nacque tutto in quei momenti. Mi disse poi che la chimica aveva giocato un ruolo determinante. Lui si era da poco separato e forse non aveva neanche tanta voglia di impelagarsi in una nuova storia. Invece tra noi nacque un rapporto simbiotico. Sono stata accanto a lui sedici anni, e in tutto quel tempo non mi ha mai fatto sentire sola. Mi ha incitato a riprendere gli studi che avevo lasciato, e se oggi sono laureata in archeologia lo devo soprattutto a lui”

Insomma, un grande amore?

“Sicuramente un amore vissuto appieno, quindi sì, un grande amore. Lui aveva la capacità di generare fiducia e stima. Era intellettualmente onesto, in nessun altro avevo trovato tutto questo. Credo che anche ai suoi amici infondesse queste sensazioni. Molti artisti sono rimasti legati a lui”

Raccontami del suo lavoro

“Prediligeva più la scultura che la pittura, ma poi tante volte le mischiava e forse in quelle opere usciva tutta la sua personalità. Anche se non era credente traspirava la sua spiritualità. Nel suo lavoro era molto metodico, disciplinato, ordinato e rigoroso. Lontano dai canoni dell’artista nell’immaginario collettivo. Però dentro di se aveva un mondo fantastico e molto creativo. La scelta di fare l’artista per lui era stata difficile e dura, ma alla fine appagante, perché ha seguito la sua passione. Però per quello che ha creato, secondo me non ha avuto i giusti riconoscimenti”

Perché lo hai definito un artista dall’indole hippy?

“Perché da giovane viaggiava sempre on the road con l’autostop, accompagnato solamente dal suo inseparabile zainetto che conteneva i suoi effetti personali e un immancabile libro. Sergio era un accanito lettore e non riusciva a stare senza libri”

In queste righe, l’essenza del maestro Sergio Ban

Dalle opere di Sergio Ban sono attratto soprattutto dai colori tenui che trasmettono serenità. Credo che, in fondo, la serenità sia proprio il messaggio che Sergio ci ha voluto lasciare con le sue opere.