La legge dei 100 anni di Latina: la retorica uccide la storia

La legge dei 100 anni di Latina: la retorica uccide la storia

20 Settembre 2023 0 Di Giancarlo Massimi

Con questo contributo si riavvia una antica collaborazione con Giancarlo Massimi, uno che ha studiato. La differenza la vedrete, a lui mi lega antica amicizia (da quando siamo nati) e litigate gigantesche. Ma lui resta una delle intelligenze più raffinate che abbia mai incontrato. Con lui condivido quel limite che erano le nostre condizioni di partenza, il bisogno di riscatto che per noi è stato lo studio, ma anche “che non ci regge i capo”. Buona lettura se volete leggere qualcosa di non banale, in tempi banali.

 

In storia quando si parla dei cento anni la memoria va a Giovanna d’Arco, la pulzella d’Orléans e alla nascita della Francia moderna come potenza continentale. Quando si parla dei 100 anni di Latina il passato scompare sotto una nebbia revisionistica, come se la memoria di se non fosse mai esistita. Un vecchio trucco della storiografia revisionistica, la manipolazione del passato per scopi politici. Basta leggere il disegno di legge presentato al Senato (n.785 “Disposizioni per la celebrazione del centenario della città di Latina 1932-2032 “Città del 900, città delle acque, città dell’accoglienza”), primo firmatario il parlamentare pontino Nicola Calandrini (che sicuramente non è uno storico né appassionato della materia). Non serve leggerlo tutto, la tecnologia ci aiuta, basta cliccare su “trova”. Da un lato né nella relazione allegata e neppure nell’articolato compare la parola “fascismo” o “totalitario”; dall’altro all’articolo 1 compare la parola “redenzione della terra”.
Le parole non sono senza significato, né se ci sono né, tantomeno, se non sono presenti. La parola (le parole) sono essenziali: quella orale del racconto e quella scritta, è relazione. E’ dire e fare nello stesso tempo. Ciò che diciamo non lo possiamo ritirare perché genera e produce effetti. L’atto della creazione è il soffio vivente della parola di Dio. La Bibbia inizia proprio con una parola creatrice pronunciata da Dio: «In principio… Dio disse (’amar): Sia la luce! E la luce fu» (Genesi 1,3). La parola “redenzione” assume un significato particolare non in relazione al concetto messianico ma a quello proprio della ideologia fascista (finalmente si usa questo termine). Questa parola è parte di una frase che fa bella mostra sul lato della Torre Comunale di Sabaudia (“questa terra volle redenta”), che svetta su quella che una volta si chiamava piazza della Rivoluzione. La bonifica della Palude Pontina serve a rafforzare un quadro ideologico del nuovo regime, attorno al tema della ruralità e della natalità (per approfondire questo tema Riccardo Mariani, Fascismo e Città Nuove, Feltrinelli 1976).
Altro tema che, dietro il revisionismo storico, si tende a non considerare è quello dei cosiddetti coloni. La redenzione è il frutto di una politica di trasferimento per legge. “Teoricamente la legge stabiliva che il criterio fondamentale del trasferimento dovesse riguardare l’eccesso di forza lavoro in determinate zone da indirizzare in altre particolarmente spopolate; per la provincia di Ferrara ci fu addirittura un decreto speciale di Mussolini che in data 15 luglio 1933 ordinava il trasferimento del maggior numero possibile di famiglie, da fissare in zone a scarso indice demografico e questo su richiesta dei datori di lavoro, lavoratori, professionisti e artisti associati” (Mariani), senza peraltro dimenticare le condizioni di queste persone che lasciavano la loro terra (su questo potremmo aprire un altro capitolo). Per concludere brevemente questo tema, come “ha sottolineato Ruth Ben-Ghiat – Eppure la bonifica dei terreni costruiva solo la più concreta manifestazione del desiderio dei fascisti di purificare la nazione da tutte le patologie sociali e
culturali. Le campagne di bonifica agricola, bonifica umana e bonifica culturale, insieme alle leggi antiebraiche, sono qui viste come diverse sfaccettature e fasi di un progetto globale per combattere la degenerazione e rinnovare radicalmente la società italiana” (la citazione in Armiero, Biasillo, Von Hardenberg, La natura del Duce. Una storia ambientale del fascismo, Einaudi 2022).
Ci sono altre due termini (senza voler entrare nel merito del testo in maniera più approfondita) che nel disegno di legge appaiono indubbiamente da evidenziare: accoglienza e architettura italiana del XX secolo. Nella relazione il termine “accoglienza” è lo sguardo rivolto al passato, senza alcun richiamo al futuro. Latina è stata il crocevia di esuli istriani-dalmati; famiglie espulse dai paesi del nord-Africa successivamente al processo di decolonizzazione degli anni ‘60/70; dei profughi provenienti dai paesi dell’ex blocco socialista. Latina è, ancora, terra di immigrazione. L’accoglienza non è un termine rivolto al passato ma al futuro, a quelle persone che pur provenienti da paesi del terzo e quarto mondo nel costruire il loro futuro contribuiscono ad arricchire questo nostro paese. Il mercato agricolo, così importante per l’Italia come direbbe il Ministro Lollobrigida, fonda la sua forza sulle braccia di migliaia di lavoratori extracomunitari (ma anche di donne italiane), dove l’assenza dei diritti è una delle priorità da affrontare. Forse i “diritti” potevano essere
un concetto. “La Città dei diritti”.
Quando parliamo di architettura del XX secolo gli aspetti diventano più complessi. Non possiamo isolare la struttura architettonica-urbanistica dal contenuto ideologico. Le città nuove, in particolare quelle del novecento, caratterizzano soprattutto regimi totalitari, sia in Italia, Germania che nei paesi dell’Est Europeo (si veda progetto del Consiglio d’Europa Atrium a cui Latina potrebbe aderire). Riflettere sulla architettura delle città nuove è un’opera complessa. Essa sposa questo insieme di caratteri. A volte porre l’accento su alcuni concetti (Città Razionalista e/o Metafisica)
supera di gran lunga i connotati che gli stessi progettisti dei Piani Regolatori delle Città Nuove e degli edifici hanno espresso. Scrive Luigi Piccinato “parlare di città è un non senso: né Sabaudia né Littoria sono due città nel significato urbanistico comune della parola. La città suppone qualcosa di mirato, di chiuso, qualche cosa di contrapposto alla campagna” (L. Piccinato, Il significato urbanistico di Sabaudia, in Urbanistica 1934) e ancora “i centri comunali agricoli di Sabaudia e di Littoria si inquadrano in questa visione come le prime realizzazioni di una urbanistica nuova e precorritrice, vivente e totalitaria”. La riflessione su Latina e le Città di Fondazione è ancora aperta, è un confronto critico che riflette la discussione filosofica che va dal Rinascimento, all’Illuminismo, alla crisi della Ragione, alla ideologia che ha attraversato il secolo breve, caratterizzato da due guerre mondiali, dalla Shoah, dal milione di morti dimenticati del popolo Rom e Sinti fino ai gulag staliniani (solo legarsi a questo meriterebbe il titolo di Latina Capitale Italiana della Cultura). Alla visione di una Città che sa guardare al passato con la capacità critica di chi comprende che la cancellazione (oscuramento) della memoria è la morte della democrazia.