In principio la rosa, una rosa cortese

In principio la rosa, una rosa cortese

27 Gennaio 2024 0 Di Lidano Grassucci

Rosa, rosae, rosae, rosam, rosa, rosa

Così, quasi filastrocca, iniziava la corsa ad imparare il latino, le ridici si diceva.

Ma perché da una rosa? E di tante parole per iniziare una rosa? Proprio una rosa? Di questo cruccio mi feci parte per il gusto di chiedermi perché. La rosa non si mangia, la rosa non serve a cacciare cattivi pensieri, non è aperta al sole, ha le spine, si fa rovo. La rosa offende la pelle che strappa con “unghie” adunche.

Imparare la rosa, della rosa… la rosa in fondo non appartiene è della selva nella testa del filare, è del giardino lì dove c’è da colorare è…

Rimasi fermo per mesi in un letto d’ospedale per le vicende della vita ero bimbo, ero difficile da lavare visto l’immobilità, mi lavarono con l’acqua delle rose. Una bottiglia spessa celeste e una delicata infusione sull’ovatta di questo profumo che leniva, doveva lenire i mali.

Una prima parola per conoscere le lingue del mondo, una bottiglia di petali per pulire il mio mondo.

La rosa è entrata nella mia vita per queste due strade: il verbo e la pulizia del corpo per profumare l’anima.

Per questo tra i fiori amo le rose, ne amo le spine, ne subisco la forza del profumo.

Poi, mio nonno contadino non amava i fiori, tranne le rose e le trattava con una delicatezza che certo non era per la forza di quelle mani. Mi insegnò che non c’è parola più bella di rosa, la prima parola, non c’è più gran profumo della rosa ma?

Ma mi disse con esperienza della vita, una è la rosa una per la vita. Non esistono che rose, ma una rosa, la si incontra quando il sole dice di andare a dormire e nel prendere sonno si fa di rosa anche nel colore, poi toni di giallo ed infine un bel blu. Blu notte.

Ecco mi disse nonno mio ora prendi il tuo tono e sarà compagno di passo, compagna di baci questa rosa. Unica rosa.

Se li cavelli artón[n]iti,   avanti foss’io morto,
ca’n is[s]i [sí] mi pèrdera   lo solacc[i]o e ’l diporto.
Quando ci passo e véjoti,   rosa fresca de l’orto,
  bono conforto dónimi tut[t]ore:
  poniamo che s’ajúnga il nostro amore

Quante sono le schiantora   che m’ha’ mise a lo core,
e solo purpenzànnome   la dia quanno vo fore!
Femina d’esto secolo   tanto non amai ancore
  quant’amo teve, rosa invidïata:
  ben credo che mi fosti distinata»

Cielo d’Alcamo, Rosa fresca aulentissima

Così, con una rosa fresca e profumata inizia, principia, la letteratura cortese che resta non nella poesia scritta fitta su di una pergamena, su carta miniata, ma nell’amore che ha un contadino per l’unica rosa.

Meo sire, poi juràstimi,   eo tut[t]a quanta incenno.
Sono a la tua presenz[ï]a,   da voi non mi difenno.
S’eo minespreso àjoti,   merzé, a voi m’arenno.
  A lo letto ne gimo a la bon’ora,
  ché chissa cosa n’è data in ventura.

Che storia è la letteratura, un cortese inchino alla bellezza pura e si chiamano destini erranti in terre di rose e giardini, in fantasie di cavalieri vestiti da contadini e di gran dame, di ogni una sola la devozione

Annaffierei le rose con le mie lacrime per sentire il dolore delle loro spine e il rosso bacio dei loro petali.
Gabriel Garcia Marquez