Lezione sulla speranza intorno al libro di monsignor Paglia

Lezione sulla speranza intorno al libro di monsignor Paglia

5 Dicembre 2024 0 Di Lidano Grassucci

Di tanto in tanto dobbiamo porci problemi che sono distanti dall’idea che

La ragazza bionda forse gli voleva direChe l’uomo è grande, l’uomo è vivo, l’uomo non è guerraMa i generali gli rispondono che l’uomo è vinoCombatte bene e muore meglio solo quando è pieno

Roberto Vecchioni, Stranamore

Ma come finisce questa storia? La vita intendo. Lo spunto è la presentazione del libro di monsignor Vincenzo Paglia “destinati alla vita”, che si tiene oggi a Latina in Curia alle 18. Lui è prete e crede nella “resurrezione dei morti che verrà”. Insomma siamo destinati a non finire qui, non siamo vino come dicono i generali di Vecchioni, ma altro.

Difficile da credere, impossibile da non sperare. Forse la Fede è questo trasformare la “speranza” in “credenza”. Certo è dato il fatto che se tutto finisse qui sarebbe triste, sarebbe triste non avere modo di ricordare, di testimoniare ad altri una vita vissuta, sentita avvolta, in cui abbiamo imparato ad essere uomini. Quando andò via mia madre mi sentii diverso da come ero ma non provai il senso di un addio, ma mi cullai nella possibilità di ritorno.

Nella Gerusalemme celeste ci saremo tutti, affollata megalopoli delle anime, ma io vorrei andare a salutare chi mi ha donato un pezzo di viaggio, vorrei essere uomo per un poco prima di diventare anima per sempre. Ecco allora che la speranza della “resurrezione dei morti che verrà”, speranza che i credenti alimentano da secoli e secoli nelle messe al Signore, trova dei distinguo umani in cui ciascuno vede quel ritorno nel suo piccolo mondo. Tra la promessa nella grandezza di Dio e la speranza nella umanità degli uomini c’è il “problema”.

Sono uomo piccolo e mi affascino davanti a cattedrali gotiche, ma poi prego in un angolo minuto con davanti una Madre misericordiosa che forse della vita è partita quando l’ha donata. Quella cattedrale è la Fede, quell’angolo è la singola speranza.

Dovevo salutare i miei genitori che già non c’erano più ma non riuscivo a mettere la lapide, non ci riuscivo. Se avessi messo quella pietra sarebbe stato difficile “risorgere”, impossibile essere puntuali con l’appuntamento del ritorno. MI rendo conto che la promessa-certezza consente già una “resurrezione” quella dei sopravvissuti al dolore per chi non è tra i viventi. Così ho tardato, i miei ancora non tornano, anzi io sto per andare. Ma bisogna fermarsi e, allora, pensi ai doni che il viaggio ti ha dato, perché se è vero che ci sono abbandoni è certo che ci sono incontri.

Ecco, forse da laico, da mangiapreti, quel “la resurrezione dei morti che verrà” si invera nell’incontro di anime in vita, sorte dentro noi in questa Gerusalemme in terra. Sì, credo che quella mia educazione cristiana, cattolica, rigorosa tra i riti, tra bene e male, non negando l’umano sia qui in questa accoglienza dell’evento a cui ci si prepara con l’avvento.

Non so se c’è un filo in tutto questo, ma credo ci sia tanto di umano.

Non tutti, certo, moriremo, ma tutti saremo trasformati, in un istante, in un batter d’ occhio, al suono dell’ultima tromba; suonerà infatti la tromba e i morti risorgeranno incorrotti e noi saremo trasformati. È necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta di immortalità

San Paolo

Ecco cosa è la bellezza trovare le radici del sentire che ci fa uomini in Dio per chi crede, nell’umanità per chi come me non ha il dono. La resurrezione? E’ l’incontro, la strada, la bellezza nella loro speranza.