Rabdomante d’anima

Rabdomante d’anima

13 Maggio 2019 0 Di Lidano Grassucci

La testa, dicono che l’anima sia nel cuore. Io non ho il navigatore ma vi dico dove l’ho trovata cercandola. Un laico non si mette a fare il rabdomante di cose che con la ragione non si spiegano. Ma mica può tutto finire così, sarebbe deludente, poco sportivo, poco ironico e allora cerchiamoci. Questa storia si intreccia con personaggi poco autentici, alcuni fantastici e i più veri come è vero che stamane mi sono alzato.

Iniziamo dall’inizio. la paura, non è motore da poco, perché se temi scopri energie che non avevi, intelligenze che non erano preventivate. La paura era tanta e si ha paura delle cose che non puoi combattere, mostri da bestiario. Poi ci sono le fate, non turchine ma di luce vestite e capaci di indossare le cose che gli umani buttano di più, i sogni. I bimbi ne fanno collezione, come di personaggi di Topolino. La paura è “Macchia” e c’è anche Amalia, e… metteteci ogni cosa. Io ero come senza più sognare, segnavo i giorni come i naufraghi in attesa di un recupero che non è detto che sia.

Paura nel banale, la Chiesa era come sono le chiese barocche cariche di cose, ridondanti, che gli occhi si perdono, si rincorrono. Recitavano il Rosario, con quella ripetitività che quieta, che distoglie, che svela. Donne negli ultimi banchi seguono il pregare di quelle dei primi, la luce non passa è “attutita”, è come se fosse ferma. Le statue guardano, che religione strana è quella dei cristiani di Roma piena di “persone”, così animata. A, già, l’anima eravamo partiti da lì, e girando siamo qui tornati. Quella nenia mi fece come dissotterrare un io dentro, una cose che sta che sono forse io. Davanti le statue dei santi, le madonne così pure così donne che non so se sia immacolata, ma so che è grandezza la concezione. Il tempo qui, la teoria della relatività dice che se stai nello spazio e vai veloce come vicino alla luce il tempo passa meno, qui c’è la luce e il tempo fermo. Sarà qui il relativo? Guardo un santo che è un poco i chicchi di granoturco del mio viaggio nella vita, Sant’Antonio. Antonio, come il nome di mio padre, di Padova di mamma e della chiesetta sopra casa mia al paese. Mi sento dentro una astronave del corpo e un tempio al resto. Le facce dei santi e delle sante non sono mai rubiconde, mai da putto, sempre da soffrire.

Mi trovo fermo a pensare alla mia vita, come se qui ci fosse la moviola. Vedo la bellezza che ho incontrato, la complicità che ho avuto, la durezza che ha fatto dolore. Amore sacro e amor profano, ma questo creato non è tagliato con falce, ma uno come spiga e grano, ha i baffi la farina bianca.

Bianco è questo senso che ho nel non camminare, sono fermo. Ho mille e mille ragioni per non essere qui, ma ho qualche torto per rimanerci. Mio padre salutava la Madonna in viaggio con la mano, io faccio lo stesso con pudore. Già il pudore che hanno i dubbi, il pudore che hanno gli innamorati nel dire ti amo quando amano, il pudore che hanno i bambini a chiedere di esser grandi. Mi inchino a baciar la mano. La chiesa è senza sacerdote, donne al rosario che vanno da sole, come se sapessero la strada che tracciano le parole. Sono qui, ditemi se ho stupore, Vado via, ma se mi chiedete dov’è l’anima vi rispondo: è dove sentite di sentire, è dove date appuntamento alla bellezza, è dove si accende la luce se incontrate l’amore, è nel silenzio di chi ti dice e non parola. La mia anima è… in una luce dentro una Chiesa, in un amore che stupisce e capisci lo stupore. Saluto con la mano, non mi segno perché sento ogni segno. I miracoli non sono le certezze ma i dubbi.