Giulia Caprì lascia, la fine di una illusione riformista a Latina

Giulia Caprì lascia, la fine di una illusione riformista a Latina

15 Giugno 2019 4 Di Lidano Grassucci

 

Esce dalla giunta di Latina di Damiano Coletta, l’assessore Giulia Caprì, non è una cosa semplice, ma è una storia complicata, tanto. E’ una storia politica.

Giulia Caprì viene da un mondo che conosco, eravamo insieme alla Fgsi (federazione dei giovani socialisti italiani), anche chi l’ha preceduto al suo assessorato, Felice Costanti, aveva la stessa provenienza. L’origine non ha nulla a che vedere con gli effetti, ma mi piace sempre collegare le cose. Perché questa radice, seppur diluita col tempo, seppur quasi persa in una storia di nebbie, di gelo, di ritiro a vita privata era una piccola riserva della Repubblica, una riserva di militanza, di storia, di valori che dentro una utopia si sporcavano le mani nella prassi quotidiana. Era anche un mondo che toccava Giulio Capirci, era come se ci fosse una possibilità di provare un filone che non era nel nostalgismo del feticcio dei muri, non era nella curiatica palude democristiana, e non era nell’immobilismo del comunismo di testimonianza. Era un pezzo, certo in Lbc era il pezzo più moralistico-azionista, più Lelio Basso che Pietro Nenni. Ma era, era un seme.

Non ha germogliato, non ha cambiato il campo per la gramigna della trasformazione del movimento Lbc in un Lbc regime che cancella la piazza e chiude il palazzo. Giulia Caprì tenta, tenta un ponte sociale, rompe la trama piccoloborghese del regime Lbc. Ma era cosa diversa, evidentemente diversa.

La mia analisi, lo premetto non è di parte, è proprio partigiana. Persi una scommessa con Felice Costanti e Giulio Capirci sul successo di Lbc. L’ho persa e l’ho pagata, ma spero che un giorno loro riconoscano a me l’onesta di avergli detto che non era una avventura dentro la grande storia riformista italiana, ma resterà una presa del palazzo più vicino ai movimenti dei caudilli sudamericani che alla idea di una “città futura”.

Saluto Giulia a cui riconosco la genuinità di una idea che ha per idea il rigore democratico e la fame di giustizia, ma agli italiani piace il rito.

Noi siamo quelli che stiamo con Bruto e non con Cesare e Antonio non ci confonde.