L’eresia setina, la statua di Lidano e papà sapeva il latino
17 Giugno 2019Non entro nella contingenza politica della collocazione della statua a San Lidano sul belvedere di Santa Maria, non mi interessa e non sono titolato. Vi dico quel che mi riguarda, una storia di quel posto che è così pieno che la statua non ci va, perché non c’entra: affardellerebbe la libertà. La prima storia è comunitaria riguarda la Chiesa, sì la chiesa di Santa Maria. Quella chiesa, non me ne vogliano i curiatici idolatristi, è il segno di una “fede” quella setina che non segue canoni, ma si “aggiusta” alla prassi della vita. Il potere voleva un ingresso stretto, che meravigliasse l’astante per l’imponenza accresciuta dalla differenza con la bassa vita civile. Bruciò e i setini non scelsero di rifare la Chiesa la “capovolsero”. E guardate non è poco: misero l’altissimo dove c’era il popolo e il popolo dove c’era l’altissimo. Per far girare il prete verso il popolo di Dio ci hanno messo 1960 anni e più, con il concilio Vaticano II, prima non si poteva. A Sezze lo avevano fatto, per necessità? No, per virtù: perché qui ciascuno è sempre stato figlio di tutti, nessuno escluso. La Chiesa apre su di una spianata, vi ricorda nulla? Dalla spianata non si chiude lo sguardo, come nel vicolo, ma si apre al piano, al mondo, fino al mare. E’ l’idea che non si deve restare nell’ombra ma scoprirsi al sole, che gira lì indugiando tutto il giorno, fino al ponente, un sole di mille colori. Capisco chi vuol mettere la statua per “normalizzare” questa libertà, non capisco chi non la difende.
La seconda storia è personale, molto personale (e la dovrei smettere con i ricordi setini) ma in quella chiesa, Santa Maria, ho avuto il mio primo dubbio sul netto della vita ed ho scoperto i grigi che mi hanno fatto come sono. Una educazione siberiana. Io e mio padre abbiamo fatto poche cose insieme, intendo ludiche, una volta al cinema, ho visto “Banditi a Milano”, da Petrianni, e una volta non ricordo il motivo sono stato in Chiesa con lui, a Santa Maria. Papà non era pretigno, anzi, non li poteva vedere i preti. Raccontava sempre di una volta a Palazzo (una zona della piana setina) lui e altro ragazzi stavano lavorando i campi. Passò il curato in bici, con la tonaca nera ed il cappello (l’ho sempre immaginato come una scena di Don Camillo e Peppone) e loro, i ragazzi, intonarono “se non sarà quest’anno, sarà il prossimo anno anche i preti lavoreranno…”. Il curato, scaltro, del resto aveva studiato, da lontano replicò: “intanto lavorate voi”. Non ci giurerei sulla verità del fatto, ma per me era verissimo. In chiesa non lo neanche pensavo, poi… poi mi giro e lo sento nel silenzio pregare e, e pregava in latino. Mio padre sapeva il latino, gli occhi erano velati di dolore. Non ricordo perchè, ma pregava in latino e con fede. Compresi che il mondo ha tante sfumature e queste cose potevano capitare solo in un mondo sconvolto, capovolto. Un mondo che per credere non ha bisogno di statue di paure, ma della sua libertà. L’eresia di una Fede senza preti.
Mi scuserete tutti se ho riempito queste righe di ricordi, ma non mi piace la superficialità, la faciloneria, il non leggere le cose.
Per me sul Belvedere la statua non va, perché è pieno di ricordi tanto piano, lasciateceli vi prego stanno scomparendo, non li cancellate.
PS: da vecchio anticlericale poi, diffido sempre dei regali dei preti, perché continuiamo a lavorare noi e loro a capire il mondo. Non me ne vogliate ma non ci riesco proprio a tacere.
Nella foto un momento del Concilio Vaticano II