Zanzara ti odio nella notte insonne

Zanzara ti odio nella notte insonne

27 Giugno 2019 0 Di Lidano Grassucci

Notte, che notte la zanzara ha deciso che io sono il suo pasto. Il pasto per la notte e domani sarà sazia per tornare a sera tarda e ricominciare.

Odio questo suo ronzare e se la prendo la uccido, la cancello e spiaccico sulla mia pelle il mio stesso sangue.

Notte che la zanzara mi crea il fastidio indispensabile per… ho deciso di pensarla questa notte e alla zanzara non darle vittoria ma dirle che la notte è mia. Fosse pure con qualche goccia di sangue rapita. Mi rincorrono ora i fastidi del giorno, facce di bronzo o assenze che hanno pesato. Racconti, uno ad uno di ore passate a cercare di avere qualche sorriso, o ragioni di sorridere. E vedo corsi di strade centrali di paesi marginali pieni di gente che viene a consumare il tempo che si trova. Giovani che fanno rumore e vecchi già stanchi al vespro che stamane hanno visto l’alba. Però era bello il cielo a questo tramonto, colori che fanno le tonalità di rosso su fondo azzurro e poi nuvole leggere che l’arancione fa toni di blu e grigio di ombra. Si il viaggio in un corso è una vista, occhi vispi, occhi che studiano, che guardano e sanno guardare.

Le vetrine hanno sempre colori, maioliche di Vietri, colori che paiono tirati fuori da bagni arabi, colori turchesi. Bello il passo, il passo scandito lungo un corso sfiorito, case che rugano il tempo. E… la zanzara nell’orecchio, ma io vedo questo film fotogrammi a rilento, sembra il corso di Rimini e farà il mio Amarcord. Il Rex è un edificio infinito lasciato a luci spente, come quel piroscafo che è rimasto solo nella mente. Una sala elegante, un signore che suona il piano come sull’oceano al novecento ed il ballo con lei che ha scarpe divine, la voce non c’è solo suono di piano nella passione del jazz. La zanzara diventa un fa, il fastidio della puntura lo strappo al casqué.

La notte d’estate ci sono le zanzare, ma anche i ricordi insonni del tempo di ieri, la brezza dalla finestra mi porta un fresco che è ancora di giugno, a luglio sarà fermo.

Il corso si affolla, nessuno guarda il Rex, lei mi indica col dito la ciminiera, dove va a finire la forza del vapore e l’elica fa la scia bianca come a mischiare ogni sogno. Il pianista va non vede la pista, il ballo si fa forsennato, forse è solo nato il tempo di una cortesia, la mia marsina sbatte le cose alla gamba, il suo vestito fa pelle sulla sua pelle. Siamo al tango che è un jazz con la passione di una Argentina amara nella nostalgia di Genova. E, forse, si incontrano occhi.

Uno schiaffo a me, zanzare morte.