Dal MAT al PollineFest: Alessandro Balestrieri e la funzione sociale del teatro

Dal MAT al PollineFest: Alessandro Balestrieri e la funzione sociale del teatro

14 Luglio 2019 0 Di Fatto a Latina

Alle porte del centro storico di Sezze si nasconde un tesoro: è il MAT, un piccolissimo teatro incastonato in un casolare, una “caverna magica”, popolata da piccoli, grandi artisti. Allievi di Titta Ceccano, sono molti i giovani setini cresciuti studiando teatro, con l’aspirazione di infondere corpo e forma ai loro sogni. Tra loro, Alessandro Balestrieri, classe ‘88, sguardo penetrante, dal tono di voce pacato e riflessivo. Mai banale.

Ci conosciamo da una vita; l’ho chiamato per chiedergli di raccontarmi di quel piccolo miracolo che si chiama PollineFest, di cui lui é l’ideatore e il direttore artistico.

Dal MAT nasce il PollineFest

“Il Polline Fest nasce quattro anni fa su invito di Titta, quando mi chiese di provare a immaginare qualcosa che si potesse mettere in scena al MAT. Dopo la stagione di teatro contemporaneo all’auditorium “Mario Costa” di Sezze e la stagione di spettacoli per le famiglie sempre al “Costa”, il MAT stava subendo una sorta di battuta d’arresto, perché tutte le nostre energie stavano confluendo altrove e si correva il rischio di sfruttarlo solo per i laboratori di recitazione, privandolo di una programmazione di spettacoli. Il MAT é stato concepito fin dall’inizio come rifugio culturale di frontiera, nel quale sono andati in scena artisti importante, tra cui premi UBU e registi e attori noti: ricordo Roberto Latini, con il suo “I giganti della montagna”,  che il giorno dopo era a Milano a ritirare il premio UBU come miglior attore. Così ho immaginato il PollineFest, un rassegna giovane che chiamasse in gioco compagnie giovani, sconosciute, che desiderano crescere portando avanti un lavoro di ricerca impegnativo, per un pubblico di nicchia, pensato proprio per il MAT”.

Il PollineFest come un colpo di fulmine, abbagliante, tutto concentrato in un unico fine settimana – quest’anno caduto il 16, 17, 18 e 19 maggio. Una kermesse dedicata alla drammaturgia contemporanea emergente Under35, come si usa nelle diciture dei bandi del teatro oggigiorno, anche se, parola di Alessandro:

“…non ho voluto utilizzare questa dicitura, perché mi sembrava troppo esclusiva e limitante, con l’obbiettivo di tener conto del territorio in cui tutto ciò viene pensato e proposto”.

Giunto alla seconda edizione, il festival è stato concepito per dare spazio a realtà che, altrimenti, non ne troverebbero.

“Sia io che i miei cari amici e colleghi Elena Alfonsi e Andrea Zaccheo apparteniamo alla seconda generazione del Matutateatro. Ma al PollineFest, insieme a me, partecipa tutto il Matutateatro. Quest’anno abbiamo ospitato una compagnia molto importante, la Kepler 452, di Bologna, della quale fa parte anche Lodo Guenzi de Lo stato sociale, che con uno spettacolo dal nome “Il giardino dei ciliegi” ha vinto il premio Rete Critica e quat’anno hanno portato in scena uno spettacolo sulla strage di Ustica, davvero molto bello. Ci sono stati molti ospiti venuti fuori, proprio per assistere al festival”.

(Ri)scoprire il teatro

Il teatro, tuttavia, è un corpo sempre più alieno in questa società così ipercinetica, violentemente spedita verso orizzonti nebulosi e indistinti: si sta perdendo la curiosità, la volontà di immergersi in profondità, alimentando una noncuranza storica, fondamentale per la (ri)scoperta della nostra cultura e delle proprie radici. Ecco, dunque, il teatro pensato come strumento salvifico:

“Coinvolgere il pubblico oggi è difficilissimo, per diversi motivi: il primo è che ci sono tantissimi “buoni” motivi per non andare a teatro, soprattutto d’inverno, perché per comodità si preferisce restare a casa, mentre d’estate è più facile andare a mare. Poi c’è un problema di portata nazionale: una grande e diffusa ignoranza. Lo spettatore medio di oggi si sente in difficoltà ad andare a teatro, perché non comprende tutto quello che va in scena; è un problema di ricezione, che mette lo spettatore in una posizione scomoda. Ecco perché, allora, il senso del teatro oggi non sta negli spettacoli, ma proprio nei laboratori, anche se oggi abbiamo moltissime persone che partecipano ai laboratori e, contestualmente, un grande problema di mancanza di pubblico…e questo è un enorme controsenso! Le persone hanno più bisogno di praticare laboratori per un percorso autoreferenziale, senza alimentare il bisogno di “vedere”. Esiste una disabitudine a vedere cosa ti offre il teatro, nonché ad assimilarne i tempi, che sono anacronistici rispetto alla vita di oggi”.

“Risonanze”

Non è una resa quella di Alessandro Balestrieri e dei ragazzi del MAT, bensì un grido d’allarme, un tentativo di risvegliare le coscienze: di fronte alla banalità della quotidianità, all’insicurezza personale, alla ritrosia culturale. Il teatro non è un mondo chiuso, ma un microcosmo in perenne espansione, un rifugio per poter scoprire se stessi.

“Un luogo come il MAT e un festival come il Polline sono ignorati. Quest’anno PollineFest fa parte di un network che si chiama Risonanze, che nasce da un meeting svoltosi al teatro India di Roma, insieme a diverse e importanti compagnie italiane. Questa rete mette Sezze e il MAT in relazione con altri luoghi come Matera, Roma, Bologna, Reggio Emilia, Bergamo… Si è mosso qualcosa intorno al PollineFest, sono venute a Sezze persone da tutta Italia, che hanno visto il paese e ne sono rimaste entusiaste, persone che mai sarebbero capitate qui se non fosse stato per il festival, tutto dentro il MAT, tutto dentro PollineFest. E non si è presentato nessun esponente dell’amministrazione comunale di Sezze a vedere uno spettacolo o a farci sentire la loro presenza. No, solo il sindaco, una sola volta. Abbiamo fatto in modo che venissero coinvolti il maggior numero di giovani possibile: abbiamo messo nell’organizzazione gli allievi del nostro laboratorio, gli allievi delle scuole superiori di Sezze e qualcuno degli istituti di Latina; abbiamo chiesto se volessero far parte dell’organizzazione e sono stati fondamentali e, per questo, li ringrazio tutti, dal primo all’ultimo, dato che sono tutti allievi del Matutateatro dall’età di sei anni. Abbiamo pensato di proporre alle scuole superiori di Sezze di mandarci dieci ragazzi per partecipare al festival come spettatori fissi a costo zero, vedendo tutti gli spettacoli, per cercare di creare una relazione con loro e, perché no, anche provare negli anni successivi a coinvolgerli, nella scelta degli spettacoli. Tra tutte le scuole di Sezze ha risposto una sola persona. Ecco, dunque: cosa importa a un ragazzo di 15-16 anni di andare a teatro? Nulla, se alle spalle non esiste un lavoro di formazione. Ecco perché lavoreremo con maggior energia per coinvolgere le nuove generazioni».

Lo scopo sociale del teatro secondo Alessandro Balestrieri

Alessandro non mostra nemmeno un briciolo di esitazione nel descrivere la realtà dei fatti: il teatro è in difficoltà, ma c’è speranza nei suoi occhi e nessun tentennamento nei gesti, nella voce, nelle idee. Quel velo di nebbia che aleggia sui più giovani, che li avvolge e li isola da un mondo che dovrebbe essere rischiarato dalla luce della creatività e dal confronto deve essere diradato. Solo quando le ombre emergono, la voce di Alessandro si incupisce:

“Nei laboratori con i bambini non mi interessa il talento, piuttosto mi preme tirar fuori quello che oggi manca loro, a cominciare dalla fantasia: i bambini oggi non sono in grado di immaginare, di muoversi, perché fin da piccoli hanno il cellulare in mano e per questo sono scoordinati; poi hanno problemi relazionali, perché star davanti ad altri bambini e interagire con loro è molto più difficile che farlo da dietro uno schermo. Quindi, come educatore, nei laboratori di teatro non vedo tanto la necessità di creare artisti, ma avverto più una funzione sociale del teatro che muove la mia voglia di fare laboratori”.

Alle porte del centro storico di Sezze si nasconde un tesoro: è il MAT, un luogo in cui giovani artisti lottano per il bene delle generazioni future. È il Polline da cui nasceranno i fiori più belli.