Camilleri e la sua lezione per la mia lingua nonna

Camilleri e la sua lezione per la mia lingua nonna

17 Luglio 2019 0 Di Lidano Grassucci

Debbo a Andrea Camilleri la riscoperta della mia lingua nonna (ho imparato da nonna), debbo a lui il gusto per il piccolo mondo che mi spiega il grande mondo. Nei suoi romanzi la reinvenzione del siciliano mi affascinava tanto quanto la definizione dei personaggi. Diceva che una lingua muore quando i suoi dialetti non forniscono linfa vitale per andare avanti, oggi è un inglese semplificato che invade e non il seme delle immagini locali che germogliano. Lo diceva quando tutti erano ubriachi di globalizzazione che era omologazione. Lui era cittadino aperto al mondo perché siciliano e italiano perché siciliano. In tempi di eguaglianza lui aveva dentro quella magna Grecia che è radici, che dalla chioma non la vedi, ma tiene ritto l’albero. Debbo a lui il cercare personaggi che definiscono attraverso parole il mondo, non ripetitori, ma creatori. Era intelligentemente come ricurvo nel suo pensare, e la sigaretta era una compagna che impregnava i suoi libri. Montalbano non è il “difensore” della Legge, non è il vendicatore del torto, è l’umanità che cerca di capire anche gli errori. Un poco Maigret di Georges Simenon, un poco quella Francia profonda, quel villaggio di Saint-Fiacre che lo fa restare contadino e tutti i contadini sono eguali nel mondo e restano di questo mondo nella speranza del grano.

Se la deriva verso non l’eguaglianza ma verso l’indifferenza è ancora non completa lo si deve a intellettuali come Camilleri, intellettuali d’intelletto e non di spocchia. Non vedeva più e forse nelle ombre associava i colori di un mondo, quello del Mediterraneo, dove è la luce nella grazia a fare la differenza. Ci sono uomini che non fanno lezioni ma insegnano, a me ha insegnato la ricerca di suoni arcaici, di anime che abbiamo indelebili e che non sono anticaglia, ma gradini per salire la scala del tempo consapevoli di essere noi stessi.

La prima volta che ho letto Montalbano, le pagine di quella lingua che mi si “creava” leggendo, mi era ostile, distante, poi è diventata discorso, fiume che scorre. Era quella lingua che mi rapiva, mentre prima non capivo perché negavo suoni per significato, quando ho sentito i suoni tutto mi è significato.

Se, cerco di scrivere nella mia lingua nonna, lo debbo ad un siciliano, con la nobiltà colta dei siciliani.