Viaggi corti: i piedi sulle strisce pedonali di Mario, le terme di Norba e il mostro

Viaggi corti: i piedi sulle strisce pedonali di Mario, le terme di Norba e il mostro

2 Agosto 2019 0 Di Lidano Grassucci

Ehi, pigri, del piano. Prendete l’auto e se è grigio come oggi che il mare offende, mettete il muso verso il monte e andate, dritto fino a che è piano, poi quando si alza il monte a destra fino all’invito a salire e fermatevi quando toccate il cielo. Troverete Norma che vista dal piano è un equilibrista sull’impossibile, un posto dove non puoi soffrire le altezze, ma dove puoi, solo, essere alto. Ma non andate dove osano i “normiciani” ma fatevi ospitare dai loro antenati, dai romani di Mario e, passando, toccate con le vostre “mani nane” le stesse rocce con cui i giganti, i ciclopi, hanno fatto non mura ma montagne a difesa di città bellissime, con massi grandi come tir, incastrati come delicati petali di fiori, ma l’infiorata è di pietra.

Non è Pompei, ma mica è tanto lontana. Si chiama Norba, qui gli uomini di Mario si uccisero tutti piuttosto che cadere nelle mani di Silla, meglio la morte al disonore e manco Cristo era nato, la pietà non contemplata. Poi dentro, oltre le mura, oltre i ciclopi un pianoro che pare immenso, dove l’estate “cantano” le cicale ed ecco strade, case, incroci, templi e le terme. A Latina quelle di Fogliano sono state un assillo di quasi un secolo, qui 2100 anni fa c’erano di acqua calda e fredda, dell’ozio di cui i romani erano maestri e in cui formavano la loro grandezza. L’acqua fin quassù è potenza, solo Giove e la Repubblica di Roma potevano fare questo, solo loro. Sulle strade, nel selciato ancora i segni dei carri, i passaggi pedonali per non bagnarsi i piedi, la rete di raccolta dell’acqua di Giove Pluvio. E in alto verso una pianura che pare mare, che poi diventa mare, il tempio a Giunone, a Giunone Lucina padrona della fecondità, su una terra fertile, sui desideri di uomini e donne che chiedevano agli dei la prole, il futuro. Qui, fin qua su per pregare un figlio, per esser madre. Qui la dea della vita nuova in un posto dove per la libertà cancellarono ogni vita.

Qui ora volano i deltaplani, si lanciano con il parapendio, qui dove il piano diventa un quadro e la montagna una cornice. Qui portavano gli ex voto, le donne il seno del latte e uomini e donne gli attributi sessuali come oggi portano le parti “salvate” alla Santissima, o al Divino amore (sempre donne, sempre la divinità della Grazia è donna, come Giunone).

Strade, incroci, vita di vita.

Il mostro nel paradiso che si fa inferno, la croce di ferro

C’è una croce di ferro all’ingresso della città morta, sempre sotto dei fiori.

Era uno di questi agosti caldissimi verso il suo finire, sono di turno al giornale. Quelle sere che sono lunghe perché devi andare via, lavoravo a Latina oggi, agosto 1995.

Giornata senza senso, la radio collegata con la polizia gracchiava, Enrico de Divitiis combatte con lo sviluppo. Si sente “hanno trovato un morto a Ninfa“. Lui era già partito, io cerco di capire, facevo le pagine con le cronache dei comuni. Un poco bestemmio, voglio tornare a casa, a farmi i casi miei, mo sto morto che c’entra, non aveva altro da fare. Cerco di anticipare il lavoro. Enrico chiama “guarda che i morti sono due”, lo mando a quel paese in un posto dove non succede mai niente due morti insieme…. “ma no pare che ce ne sia un altro in un pozzo all’antica Norba”. Incredibile, una storia incredibile.

Oggi c’è una croce in metallo e sempre dei fiori, lì fu trovato il corpo di Edoardo Novata, 11 anni ad ucciderlo Simone Cassandra (il mostro di Norma), le altre due vittime trovate nel piano furono Francersco Belmonte di 74 anni, e Franco Giordano di 17.

Una croce tragica in un posto bellissimo, dove anche convive con la bellezza la tragica follia. Storie, belle e brutte, da duemila anni e più, storie di questi monti sempre pieni di gente, sempre pieni di genti.

 

Nella foto (Compagnia dei Lepini), vista della città verso il tempio di Giunone Lucina