Salvini e la lezione della Piazza del Comune di Sabaudia

Salvini e la lezione della Piazza del Comune di Sabaudia

7 Agosto 2019 0 Di Lidano Grassucci

Matteo Salvini viene a Sabaudia, piazza del Comune alle 20. Vengo da un posto in cui mi hanno insegnato a leggere le chiese, per le vite dei santi per la tribolazione di Nostro Signore nell’ultima via con la croce, stazione per stazione e a leggere la luce che entrava dentro al momento giusto per dire che era la casa del signore. Per questo mi permetto di leggere le storie che ci sono nella piazza che ha scelto, e sono storie difficili per chi, come lui, ha amato poco questa Italia, più il piccolo campanile ma qui quella sua storia si contraddice, è difficile da dire.

Questa piazza è larga è piazza fatta per stupire i rurali che in campagna dovevano combattere la ferocia della gramigna e qui non  c’erano che fiori e il “governo” teneva tutto in ordine, anche la natura, mentre nei campi la gramigna uccideva ogni sforzo.

Ma chi erano questi rurali? Erano cispadani poveri che “migrarono” qui, come se una città intera del Veneto fosse diventata nomade per mangiare. La conosco la storia caro ministro perché è la storia di mio nonno e sono orgoglioso della fame da cui fuggirono, per il pane benedetto che qui trovarono. Ma come lo insegni questo nella storia “diversificata”, da una regione ad un’altra. Come spieghi che un Bergamin è morto qui, e un Porcu, o Lassu è morto ad Asiago, insieme ad Esposito. Perché se lei legge i muri di questa piazza, in uno c’è un testo fitto, non lungo, e porta la firma di generale, Armando Diaz. E’ il bollettino della vittoria del 4 novembre 1918, per tre anni prima i Lassu, i Porcu della Sassari andarono a morire per fare italiana Trento e Trieste, li chiamavano dimonius  erano diavoli e quando andavano all’assolto, a morire a 18 anni, gridavano “Sardegna” e non Savoia come gli altri, erano italiani ma sardi, ma a scuola volevano leggere in italiano, leggere della loro storia nei libri italiani, per amare in sardo.

Semus istiga
de cudd’antica zente
ch’à s’innimigu
frimmaiat su coro
boh! boh!
es nostra oe s’insigna
pro s’onore de s’Italia
e de Saldigna

(italiano: Siamo la traccia, di quell’antica gente che fermava il cuore al nemico. Oggi le loro insegne sono nostre
per l’onore dell’Italia e della Sardegna)

E i soldati di Roma i granatieri di Sardegna che sul Cengio, si sacrificarono per non far invadere il piano e da lì vedi Vicenza. Erano ragazzi e combatterono fino ad esaurire le munizioni, davanti avevano gli austriaci dietro il baratro, piuttosto che arrendersi si buttarono giù abbracciando ciascuno come poteva un soldato nemico. Come la racconti diversa a Udine rispetto a Catanzaro. Come lo dici che qui c’è la prova, i cispadani del piano, che abbiamo bisogno degli altri e non paura per noi, che gli italiani sugli altipiani e sulle montagne non scrissero una storia diversa, ma la medesima storia.

Signor Salvini, poi nella piazza c’è una pietra che ricorda quando in questa piazza, a Sabaudia, prima di lei c’è venuto un socialista Sandro Pertini, lui repubblicano, partigiano venne a rendere omaggio alla città che porta nome di re. Lui che diceva: “come italiano non sono primo a nessuno, ma a nessuno secondo”.

 

Nella foto la piazza di Sabaudia il giorno della inaugurazione della città, archivio Senato