Il ciclo a rischio del divino Durigon, i conti della crisi
13 Agosto 2019Claudio Durigon nell’era giallo-verde era come Platinì alla Juve vincente. Toccava di fino la palla, andava in tv e “spiegava” il nuovo verbo a fior di economisti, a colleghi sindacalisti e a sempre ignoranti giornalisti. Era divo, stava più lui in televisione che Maria De Filippi. Con quell’aria da cispadano in gita faceva la sua figura, era un personaggio, ha scommesso su quota 100 e quota 100 fu. Era così potente che già aveva opzionato anche il sindaco a Latina, non aveva, qui in agro, interlocutori di livello, lui era il governo. Ora? Ora il governo, comunque è andato, ora l’alleanza con centrodestra torna e con lei torna Claudio Fazzone, alla pari, Nicola Calandrini, alla pari. Come dire, un maestro di orchestra che torna violino di fila e in fila uno come Fazzone non è facile. Aveva messo in campo una rete di relazioni per segnare il cambiamento da realizzare dopo Dopo Damiano Coletta, aveva cercato nella società civile qualche bella figura, precisa e politicamente corretta, ora deve andare a parlare con Fazzone e Calandrini, tutti medesimi musicisti.
E non si sa quando si voterà e comunque il quadro è cambiato, era giocatore con tutte le carte, ora ha un terzo delle carte e forse meno, certo Claudio è fortunato, ha fiuto, ma ha anche avuto il vento in poppa di un Matteo Salvini che tutti pensavano il genio dell’Italia nuova che ha fatto la genialata di rovinare il ferragosto agli italiani, sul resto ci passano sopra ma sulle ferie no, come ogni cispadano ben sa. Winston Churchill diceva: gli italiani perdono le guerre come fossero partite di calcio e le partite di calcio come fossero guerre.
Tutto ma le ferie no
Nella foro Matteo Adinolfi e Claudio Durigon