Diario della crisi: l’uomo che si marcò da solo e manco si fece gol
15 Agosto 2019Parlare di politica a Ferragosto è come mangiare una peperonata a 40 gradi. Ma qui si tratta di comicità allo stato puro e quindi è come una gassosa gelata al fresco di un albero di noce. C’è uno che si sveglia una mattina, girato, evidentemente non aveva digerito bene e a freddo decide: che il governo, di cui lui è parte, non c’è più, che debbono alzare il culo tutti i parlamentari (tra cui lui) perché così gli gira, e convoca le elezioni per ottobre anzi pure prima tanto sono una formalità. Perché? Per avere i pieni poteri. Per far cosa? Non lo sa, ma intanto vo commannà.
Poi? poi scopre che non se po fa e allora, si inventa mozioni, tensioni, rotture di coglioni (ma lui resta sempre ministro a stipendio pieno). Urla alla luna, e si incazza che quella non risponde.
Si scopre che non può convocare il parlamento, che se non si dimette rischia di autosfiduciarsi (insomma vota contro il suo governo che è di incapaci e lui ne è il primo sottocapo).
Poi urla che avrebbe fatto tutto da solo, poi chiama papà Berlusconi a metterci una pezza, piagnucola con gli ex alleati che in fondo voterebbe la riduzione dei parlamentari, ma a patto che non si faccia, poi pensa che forse è il caso di tornare indietro.
Ohi cetto, e questo sarebbe il capo? Mi immagino i sotto (per dirla al mode della passatella). Manta un messaggio in cui dici che a Ferragosto sta a lavorà per l’Italia al ministero, ma non era caduto il governo?
Una gigantesca presa in giro, e questo doveva essere un capo? Ora non sa cosa fare, e se un capo non sa cosa fare si trasforma da capo a capo de c…. . Mio padre mi mise in guardia da una categoria sola: dagli illusi.
Lo penso solo io? Guardate la faccia di Giorgetti, la mente pensante della Lega, dice tutto.
E sulle pagine di storia sarà scritto: c’era una volta un tal Matteo Salvini che è ricordato per l’amicizia di Giorgetti e per essersi marcato da solo, di lui si sono perse le tracce e anche del pallone
nella foto “Eco e Narciso” (1903), di John William Waterhouse.