Storie d’agosto: La luna piena e il lupo mannaro (lupinaro)

Storie d’agosto: La luna piena e il lupo mannaro (lupinaro)

16 Agosto 2019 0 Di Lidano Grassucci

Che luna c’è stasera, così tanta luce che fa ombra e un’ombra lunga, lunga. Non l’ho vista subito, camminando verso la sua luce non ho pensato che potesse essere questo effetto, poi mi sono girato e… un attimo di spavento l’ho provato, poi ho capito che ero io e non potevo avere paura di me. Ma? Ma una notte d’agosto di un tempo indefinito, ora indefinito perché nei ricordi è oggi, nella realtà un ieri lontanissimo, nonno mi mise sul mulo per portarlo a bere. Sarà stato che faceva un umido da non respirare, ma ad agosto è tempo suo. La luna anche quella sera faceva luce, come sole senza calore, una luce d’argento che non accecava. “Nonno, ma ci sono gli spiriti?”. Era come chiedergli se esisteva un bestiario della notte a noi negato dal sonno salvifico. Era tornato dall’osteria e il vino sapete rende loquaci anche gli uomini schivi, quelli che non si lasciano andare e contano il parlare.

“Una volta, una notte come questa, ma una notte che andava a finire, ho portato i muli a bere a Ferro di cavallo, sentivo ululare, ma non sono cose di cui aver paura era lontano (“Na vota, era scuro accomme a mo, ma era quaci addomano, era portato alla beveratora di Ferro di cavallo i mulo, so sentito accomme fao i lupi, ma non teneva paura veneva… accomme da n’altro posto”)

“Vicino alla fontana il mulo si spaventa, si alza con le zampe davanti, mi strattona. Lo tengo fermo non capisco, era mansueto. Vedo sopra il muretto che da sulla fontana una figura che non era umana, meglio era umana da lupo, era il lupo mannaro. Gli urlo contro, lui si spaventa e cerca di difendersi spaventandomi, gli vado incontro col coltello che il mulo tornava alla stalla” (“Alla abbeveratora i mulo s’aggiana, s’arizza co le zampe dinanzi, tira. I teno a capezza, ma che sta a succede, i mulo n’era mai fatto accosì. N’cima agli muro vedo, no nu cristiano, ma accomme a nu lupo, era nu lupinaro. Ci urio, s’aggaiana, me vo aggianà. I mulo radduce alla stalla, i vanco co gli corteglio agli lupinaro, isso i vede i corteglio”

“E’ scappato, ma io ho capito chi era. Il giorno dopo alla prima luce sono andato a casa sua e gli ho detto: se me rifai quello di ieri ti uccido, lui si è pure scusato e ci sono rimasto, ma non è più venuto, anche se certe notti lo sentivo urlare disperato alla luna” (Ha scappato, ma so scoperto chi era. La di dopo, che era appena di, so ito alla casa e ci so ditto “se rivì t’accido. Isso me disse puro ca n’era pe isso, ma gni so visto più. Ogni tanto sento ca uria alla luna).

Non ci credevo, gli dissi pure: “ma non esistono i lupimannari, ma che dici”. Lui mi giurò che era tutto vero, e non mi ha mai raccontato per il tempo che ci fu dato una cosa che la vita mi ha riportato non vera e la fantasia ha smentito. Questa notte in giardino la luna mi ha fatto un’ombra lunga, e un albero si è fatto altissimo, un gatto mi è parsa una tigre, e… ci sono uomini lupi, uomini agnelli, come angeli belli.

La morale della storia? Sarebbe triste se fossimo soli in questo universo, sarebbe triste se creature del mistero non ci facessero compagnia e paura ai bambini.

Dimenticavo, mentre nonno parlava il mulo con i suoi occhi grandissimi pareva proporsi a testimone della verità di nonno mio e pareva pure lui innamorato di questa luna.