Storie d’agosto: quando dalle ostarie assaltammo Sant’Antonio, la guerra che ci fece uomini
18 Agosto 2019Si violava, si violava un tabù, una paura, un timore un confine. Eravamo dei ragazzi da via Pál guerre senza destini, generali con armate così minute che mai c’era paura. Si violavamo confini fatti di fantasmi, uomini neri, misteri di tenebre mai conosciute. Quello che segnava era il tempo, tanto da perdere e le faccia di bambini dimenticati che avevano cartine geografiche di afriche presenti. La vita dell’infanzia non era chiusa in case sempre vuote, ma in strade sempre piene. Il tabù era in fondo alla strada, oltre c’era forse l’America, forse solo un’altra strada con il suo infondo. I tabù sono confini successivi e alla fine c’è il mare. E oltre noi non osavamo pensare, sapete gente contadino che non ama il fondo, ma coltiva sempre la superficie. Su, in alto dal nostro pianoro c’era la montagna, per noi più di ogni Everest, di pietra calcare e querce stanche che nascondevano forse solo bambini più forestici di noi, e siepi, rovi, di una natura che scompare poi torna, da mano d’uomo sempre violentata.
Salivamo da basso, scalcagnati fanti che la gravità già ci metteva sconfitti, e da su quei furetti, gnomi, uomini piccoli, giù di sassi che pareva pioggia, ma la mira faceva difetto e ci siamo salvati per cecchini somari. Il tabù era questa salita, lunga da fare tutta, stupida ora di villette fintoborghesi, ma era stata campo di battaglia come Lispsia, Waterloo, o la Russia di steppa vestita che non era questo monte. Il tabù, era scoprire … Poi d’ottobre, il primo, a scuola lì ho incontrati i furetti del monte, li ho visti non lindi, ma ci avevano provato. Anche loro sorpresi dell’umanità di quelli da basso, come noi eravamo stupefatti da quelli dall’alto. Come se i romani sotto il Vallo di Adriano si fossero incontrati ad imparare il latino con gli scoti. Si siede accanto, lungo allampanato, per quanto anche io ero magro e mi dice: “venite a giocare con noi”.
Ma come? Ci invidiavano quel nostro forestico che era già meno del loro, ci invidiavano quel protoitaliano con meno sfacciate durezze. Poi, anni dopo salii lì per cercare pace con una ragazza che aveva occhi diversi per me, non ebbi coraggio di altro, ma mi sono sentito così a casa nel mio campo di battaglia, senza mai sangue per “grazia di Dio”, ma con coraggio da vendere per volontà di bambini eroi.
Se il sapere della vita avesse avuto le traiettorie dei nostri sassi saremmo somari di vite, ma aveva la curiosità di salire il monte e di scenderlo che la scelta dipendeva solo dall’altezza in cui nascevi. Si violava un tabù, il mio fu verso l’alto e poi quel compagno di banco così uguale a me.
Ho capito che le differenze sono aggiunte e non sottrazioni, con i sassi ci vuole coraggio, e la battaglia non è mai persa perché non ci sono parti ma umani. Questo mi insegnò la mia personalissima guerra, e… dimenticavo: bisogna combatterla anche se la Provvidenza potrebbe essere distratta e quel sasso diventare fatale