Viaggi corti – Gli alberi che fecero l’impresa: farnia, eucalipto, ulivo e… il fico

Viaggi corti – Gli alberi che fecero l’impresa: farnia, eucalipto, ulivo e… il fico

23 Agosto 2019 0 Di Lidano Grassucci

Esiste un mango in India che da 200 frutti diversi. Duecento, da tempo è “innestato” con varietà differenti che lui porta avanti, indifferente. Il custode dell’albero dice “una madre nutre tutti i suoi figli”. In un mondo dove non ci sono i figli, dove i ragazzi sono considerati un fastidio, i bimbi un problema è una storia straordinaria.

L’albero è enorme, indifferente al tempo nel tempo che ha la generosità dell’amore che non inizia e non termina. Un albero che è diventato simbolo e che dal sole ripara ogni viandante. Qui, da noi, abbiamo perso le storie degli alberi, le abbiamo come accantonate.

Non sappiamo nulla più del viaggio dell’eucalipto che, con la sua sete, ci aiutava a non affogare, con la sua chioma a non avere i campi bruciati dal sale del mare e le coltivazioni spazzate dal vento. O la farnia, che ha anche un posto a Sabaudia che porta il suo nome  “Bella Farnia”, e per millenni è stata testimone della nostra foresta, del selvatico che è in noi. O la civiltà dell’ulivo che prende dai terreni che si iniziano ad incollinare la forza della pietra, che regge ordinato la montagna. Come albero-pastore del contadino a difendere la terra che potrebbe venire giù (a Latina ne hanno piazzato uno sulla rotonda di via del Lido, come se per equipaggio di una nave in oceano scegliessi gli alpini, perché non sappiamo). Sono alberi-pastori che reggono la terra, come i cani pastore tengono il gregge. Ma chi li guarda gli alberi, eppure in questa storia i tre alberi, la farnia, l’eucalipto e l’ulivo c’è tutta la nostra storia, tutta.

La mia invece ha una variante la dolcezza dell’albero di fico, antico, romano, sovrano, ingarbugliato, imperiale e repubblicano, da frutti che sono fiori, e dona i fiori a chi ha fame, fiori che puoi fare riserva per l’inverno ancora più dolci. Ne avevo con mio padre a delimitare il vigneto, in una zona fortunatissima al mondo, si chiama Le canalelle (sotto Sezze, dalle parti di Case Rosse), per via dell’acqua sorgiva e zolfa che da vita a canaletti dove l’acqua scorre sempre. Qui i fichi arrivano prima di ogni altro posto al mondo, i primi ad arrivare ai mercati generali a Roma. Aiutavo mio padre a raccoglierli e a metterli nei platò, se andava bene tiravo fuori i soldi per studiare a Roma tutto l’anno. Non ne mangio tanti, ogni tanto, ma sono stati il “grande mango” della mia famiglia. Un fiore che è un frutto.

Se vi capita leggete gli alberi, se lo farete sarete un poco più umani.

 

Nella foto il fico del mio giardino