Latina, la firma a tempo indeterminato e l’attimo fuggente

Latina, la firma a tempo indeterminato e l’attimo fuggente

28 Agosto 2019 0 Di Maria Corsetti

Le immissioni in ruolo dei collaboratori scolastici. Il lavoro sicuro solo dopo una certa età

La firma dei collaboratori scolastici

È il 28 agosto e Latina brucia di caldo. Entrare nell’aula magna di una scuola con aria condizionata è come entrare in una chiesa antica, il fresco è accogliente. In scena al Manzoni di Latina le immissioni in ruolo dei collaboratori scolastici, una volta si chiamavano bidelli e, per le vie brevi, alle volte vengono chiamati ancora così. In sala un giovane non c’è. Se le convocazioni per il ruolo degli insegnanti sono la sintesi di tante generazioni, quelle dei collaboratori scolastici sono l’arrivo di una vita di precariato. Tante signore, molte sono nonne. E anche uomini, con i capelli bianchi. Di tatuaggi non se ne vedono, i tatuaggi sono la testimonianza di un presente che qui non c’è. Perché si arriva a lavorare in una scuola, come collaboratore, o anche come amministrativo, a furia di supplenze, di giorni appesi al telefono. Scorrono le signore ben vestite, che hanno fatto la messa in piega per questo giorno, spunta anche qualche filo di perle. Lavoratori per uno Stato che non sa dare altra immagine di sé che quella della nevrosi e del corto circuito. È la foto di un’Italia che non si è arresa, nonostante tutto.

La chiamata per la firma a tempo indeterminato

La cronaca si ripete: un nome, una scuola e un sottofondo di disappunto o di sollievo da parte di chi quel posto lo desiderava o lo temeva. La convocazione è provinciale e la provincia di Latina è lunga, lunghissima. E collegata malissimo. In platea c’è un ordine non stabilito, ma che viene naturale: in prima fila gli eletti, chi oggi saprà la sua destinazione almeno per l’anno di prova, ma su quella busta paga che arriva il 23 del mese ci sarà scritto “a tempo indeterminato” che anche se devi solo comprarti un frigorifero fa la differenza. Nelle retrovie chi aspetta l’incarico annuale e che sarà convocato tra due giorni. Però sta qui a spuntare le scuole, per riorganizzare la strategia da mettere in atto in quei pochi minuti che saranno dati per scegliere. L’incarico annuale, quello al 30 giugno, poi si va in disoccupazione, quindi senza contributi, per poi riaprire la porta alla speranza ogni fine agosto. Qualcuno non risponde alla chiama. Che fare, andare avanti, aspettare, cercare. Chi viene subito dopo trepida, gli sguardi si animano di speranza: uno che non arriva, è la possibilità in più per gli altri di scegliere una scuola vicino casa. Senza astio, con onestà. Altroché abbracci finti di Miss Italia, qui si parla di vita. Ogni tanto vengono dati dieci minuti di pausa. Un ristoro per chi sta lavorando al tavolo delle convocazioni tra graduatorie e istituti scolastici. Un macigno tra il precariato e la stabilizzazione per chi aspetta di essere chiamato.

I percorsi compiuti

Percorsi iniziati nello scorso millennio, quando i telefonini non c’erano e non c’era internet. Quando la domenica i negozi erano chiusi e a pranzo si mangiavano le fettuccine con il sugo dei pomodori bolliti ad agosto. O anche percorsi più recenti, figli di una crisi che ha falciato operai, impiegati, colf. Microcosmi estinti nel giro di qualche anno. E allora che si fa? Ci si mette in coda, forse i primi a migrare verso la spiaggia del lavoro pubblico hanno trovato una coda accettabile. Ecco, finita la lista, sedi assegnate. Per un anno, quello di prova. Perché a giugno tutto di nuovo nel calderone. Si può essere confermati o trasferiti. “A tempo indeterminato” rimane, ma chissà dove. Però quel tempo indeterminato ha il sapore della domenica i negozi erano chiusi e a pranzo si mangiavano le fettuccine con il sugo dei pomodori bolliti ad agosto.