Storie d’agosto/ La cispadania di un bastardo

Storie d’agosto/ La cispadania di un bastardo

5 Settembre 2019 0 Di Lidano Grassucci

Correvo, correvo a perdere il fiato. Lo stradone era dritto, poi al canale curvava, dritto di nuovo, passava la paratoia dove l’acqua si tuffava nell’acqua poi un’altra curva e diritto di nuovo fino al canale che nel canale si buttava, forse 500 metri, forse mille, forse meno.

Era la mia cispadania. Una terra ipotetica tutta piana, una ipotesi di terra dove le parole padri dei miei monti si facevano dolci in questo piano che non era meno mio. I mezzo sangue sono bastardi da qualsiasi parte li guardi, si definiscono per quel che manca alla purezza e mai quel che hanno in piu’ all’eresia. Si sono bastardo, capovolto e baro. Sono di passo piano, ma ho le spalle a valle, sono di passo di monte ma ho la pancia di piano. Sono il fieno, sono la paglia e il grano, ma sono anche l’amore del carciofo che rinasce.

Ma chi sono? Già, bestemmio in latino mi rispondo in ladino, ma poi. Poi, sapete, cerchiamo radici, ragioni, spiegazioni a chi siamo e scopriamo noi, ma servono sempre guide delle storie. Il mio primo amore è stato un dolore, una ipotesi doppia di essere amati e restare disarmati ad ogni animo che perisce, come se hai tante candele che danno luce, poi tutte spente ed è buio.

Sono figlio di questa bizzarra combinazione nata per amore contaminante, mi cullavano con le nenie dei saggi di collina, di una matria disperata del culto di ogni creatura che è della madre ogni cura, ed una patria che era libertà di correre a piedi nudi sulla breccia e se ti facevi male era la forza dei puttei che si facevano ragazzi e il confine era vicino di Italia o Serenissima fate voi, ma uomini e non garzoni.


Correvo, correvo a perdere fiato in una utopia, rifare oltre un posto che già non c’era. La cispadania non potete capirla era popolata di grappa e cren, era popolata di clintò nato a sud, e denti rossi.


Occhi allampanati, altezze che davano un tono sognante alla bontà da gigante. Sì, ero qui ed ero lì separato da me che me cercavo. Si sono il mezzo, sono l’incontro incredibile, indescrivibile, improbabile tra quel che era. Ma? Ora che ci penso, nato da un amore audace, quasi incomprensibile tra due esseri che si trovarono bellissimi davanti a loro e non chiesero pezze di appoggio. Ero un ragazzo che seguiva gli accenti, che non erano accidenti, e seguivo tra due mondi chiusi la libertà di stare nel mezzo, e oltre ogni mezzo, sempre libero da un’altra parte, la libertà di questo amore che non era diverso da ogni amore, ma suonava parole diverse, ma non in meno in più. Forse da qui ho capito che l’amore aggiunge e non sottrae, non fa timore ma da coraggio, non nega ma esalta. Ero così lepino nella mia cispadania e così cispadano nella mia lepinia, per ogni cosa almeno due parole, per ogni dolore almeno due lacrime, per ogni amore due rime. Correvo, correvo a perdere il fiato

 

Bandiera della Repubblica cispadana 1796/1797