Treno dixit 1-2020/Se Craxi… e lo strano male

Treno dixit 1-2020/Se Craxi… e lo strano male

20 Gennaio 2020 0 Di Lidano Grassucci

Questa mattina non era così freddo, il cielo ombrava per via delle nubi. Oggi il treno era come se fosse lunedì che era. L’assessore (detto Molecola) e il maresciallo onorano il presidente, compare motodonna e lo spagnolo. Si può partire, destinazione Roma, ma senza marce per starci. Il maresciallo curioso “ma che mi dice di Bettino Craxi?”.

Già Craxi, 20 anni dalla morte, nelle sale un film, Hammamet, non un film politico, ma un film umano. Dico, una tragedia umana, di come la “gente” ti loda nel bene, e ti ignora nel male, a lui neanche questo: gli hanno lanciato le monetine.

Certo non era uomo facile, non era simpatico, ma un capo non è mai facile, la guida è sempre difficile poi lui guardava il fine e il mezzo era perdita di tempo. Ha una tomba oltremare, da un mare che “in certi giorni belli si vede l’Italia”.

Patria lontana, patria ingrata. Ma solo con i suoi pensieri di ieri, solo con la consapevolezza di avere ragioni della storia e “torti” giudiziari, ma per Craxi conta la prima le seconde sono figlie di “normalizzazione” dell’eccezione. Non assolvo, non mi compete, ma non lo trovo interessante, insomma non mi frega niente, ma tanto mi frega della giustizia, della libertà, della dignità umana. Mi frega di ricordare che Craxi con Aldo Moro decise “umanamente” non “politicamente”, men che meno “giuridicamente”, ma questo a lui, l’umanità, fu negata, è negata. Disse Craxi “salviamo l’uomo, salveremo lo Stato libero, democratico”. Gli risposero “salviamo lo Stato, sacrifichiamo l’uomo”, gettando il seme dell’inumano Stato dei magistrati, delle morali, cancellando dietro a Stato le parole libertà e democrazia”

Mi ascoltano, dio mio mi sono perso per via di quella malattia che non mi passa, questo cancro intellettuale di stare sempre dalla parte dei “malfattori”, dei “briganti”, dei “lestofanti” dei… proletari, degli operai, dei contadini, dei senza terra, dei senza patria, degli “uomini che fanno fruttificare la terra e soffrono la fame, i fellahin, i coolies, i peones, i mugic, i cafoni” per dirla come il compagno Ignazio Silone di Fontamara. Di stare con le ragioni dei torti e preoccuparmi dei virtuosi, dei “senza peccato” davanti ad una donna rea di amare. Questo cancro che è il socialismo.

Mi guardano ed hanno pietà di me. Sono a Roma “Termini, stazione Termini…” dice la voce del treno, già Termini.