Coronavirus, i “ragazzi” dello Spallanzani e la signora che mi insegnò a votare

Coronavirus, i “ragazzi” dello Spallanzani e la signora che mi insegnò a votare

2 Febbraio 2020 0 Di Lidano Grassucci

Ho fatto, negli anni dell’università, per aiutare i miei “vizi” il presidente di seggio allo Spallanzani a Roma. Un ospedale difficile, ad entrarci allora, erano gli anni ’80 pareva tutto un gran caos, pensavi che non c’era un filo. Un inizio e una fine, i pazienti pazientavano, i medici e gli infermieri erano distratti al bar, poi nei reparti… Sapete allora ero più “sognatore” di adesso ed il sistema sanitario nazionale, quello che garantisce la cura a tutti, a tutti gli uomini e le donne che qui stanno a qualsiasi titolo, era per me come la Torah per gli ebrei. Ma che confusione, che caos. Poi vedevo in televisione gli ospedali americani e mi sentivo meno, come se fossimo dietro, se fossimo altro.

Entravo nei reparti con mascherina, tute, mi spiegavano la gravità negativa. Andavo per far votare la gente che era sofferente, mi sentivo cretino. Si cretino, superfluo, per il mio bisogno di soldi per studiare, ma capii che non era proprio così quando saltai una camera, stavo soffrendo per quel che vedevo, quando una infermiera mi venne incontro “Presidente, ha saltato quella camera c’è una signora…”

L’infermiera era rigorosa, l’avevo notata al bar e si confondeva con il suk che era quel bar, ma qui in questo posto “pulito” mi parve avere anche un’altra voce. Torno indietro la signora era anziana, era malata tanto, parlava con un filo di voce. Mi avvicino “signora vuole votare?”. Lei con un orgoglio che mi veniva da piangere “Certo, sono una cittadina”.

Certo, sono una cittadina… ho inghiottito, volevo morire. Mi dice il suo nome e cognome, sul comodino il certificato elettorale “me lo sono fatto portare da casa” aggiunge. Segno il nome sull’elenco, consegno scheda e lapis, mi volto. Pochi secondi, mi dice “fatto”. Mi giro, la scheda piegata. Mi guarda, si è stancata, si vede, mi dice “grazie giovanotto”.

“Grazie a lei signora, e mi scusi”. Lei “ma che scuse, era il mio dovere”

L’infermiera mi guarda, capisce i miei tormenti e mi saluta “grazie, ci teneva tanto. Come tutti”.

Non ero più un cane nella chiesa del dolore, ma un dubbioso davanti ad un dolore.

Malati eccezionali, infermieri umanamente professionali, e medici che curavano nonostante tutto.

Oggi sento “Allo Spallanzani di Roma hanno isolato il coronavirus, primi in Europa“, terzi al mondo (dopo un laboratorio cinese ed uno australiano) e penso con orgoglio a quella idea di fare una sanità per gli uomini, non per i denari, una sanità umana e non di numeri e capisco quanto è importante votare.

Mi scuserete della storia, ma le cose della vita ti tornano e capisci che non sono per caso. Lì allo Spallanzani dove votare è un dovere, come curare e nessuno si tira indietro.