Se la galleria di Milano fosse a Latina, la città ridicola

Se la galleria di Milano fosse a Latina, la città ridicola

19 Febbraio 2020 0 Di Lidano Grassucci

Aste da record per i negozi in Galleria a Milano. Dior paga 5 milioni all’anno, Versace si prende un negozio dopo 38 rilanci e Fendi si aggiudica quello di Armani per un affitto annuale di ben 2,5 milioni. Il metodo dell’asta con incanto introdotto per la prima volta in galleria a novembre per lo spazio Telecom sta dimostrando di essere un’ottima mossa. E il comune di Milano vede le proprie casse riempirsi.

E’ la notizia riportata da Tgcom 24. Parla della galleria di Milano dove i turisti si impegnano a tornare girando il tacco intorno alle palle del toro simbolo di Torino. MI sono chiesto ma se fosse accaduto a Latina? Se a Latina ci fosse uno spazio pubblico come quello, cosa avremmo fatto?

Certo nessuno dei nostri maestri di pensiero bonificardi, politici di varie nostalgie ne avrebbe consentito “l’uso privato”, “speculativo”. Ci sarebbe stata la prima proposta che vedeva tutti concordi: “mettiamoci l’università”. Per noi l’università non è un luogo di studio ma un “sale urbanistico” che mettiamo ovunque avanza un immobile.

Qualcuno avrebbe, poi,  proposto un innovativo museo del pentagramma, unico al mondo. Senza dimenticare chi, siccome siamo nati nel tempo del “futuro” (seppur nato vecchio), avrebbe proposto un museo al futurismo, prescindendo la disponibilità di quadri. In alternativa un museo alle medagliette votive a santa Maria Goretti. Un percorso interattivo sulle rapide di Canale Mussolini, con diorama sulla fauna e flora del medesimo, con l’elenco completo di tutti i coloni assegnatari dei poderi lungo il suo corso.

Ma mica sarebbe finita qui, l’intento speculativo dei negozianti non sarebbe sfuggito ai comunardi (gli impiegati comunali) con la relativa diffida a vedere profumo a Dior perché la licenza è per abbigliamento, senza contare la multa per aver esposto in vetrina le scarpe. Naturalmente si apriva una inchiesta su segnalazione di uno storico che segnalava come lì era terreno agricolo e di caccia con tanto di prova della presenza di ossa di mucca frisona. Sequestro e avviso di garanzia a tutti: da Giuseppe Mengoni, l’architetto, raggiunto in contumacia, a Vittorio Emanuele II a cui è intitolata per “traffico di influenze” con tanto di elicotteri alla ricerca dei latitanti: Antonio Beretta, sindaco all’epoca dei fatti, e Alfonso La Marmora allora primo ministro. I quattro in associazione avrebbero “speculato” sull’area passandola da agricola a commerciale e ora a zona figa. Due dei 4 poi, il re piemontese e l’inventore dei bersaglieri avrebbero avuto un ruolo non meglio precisato sulla nascita dell’Italia e la cosa desta sospetti di combutta con la Spectre, il Mossad, e grande oriente, in associazione con tal Camillo Benso Conte di Cavour.

I giornali si sarebbero interrogati, poi, sul ritardo del provvedimento di abbattimento del manufatto. Poi lo scoop della scoperta che li dentro c’erano: caffè Campari, il Caffè Savini – fondato come Caffe Gnocchi – e il Caffè Biffi. Non vi dice nulla?

Ma come è una storia di mafia: evidenziata dalla presenza del caffè Campari, richiamato da  Fabrizio DE Andre in Don Raffaè, tutto torna:

 Eccellenza
M’i prestasse pe’ fare presenza
Io già tengo le scarpe e ‘o gillé
Gradite ‘o Campari o volite o café

Evidenza pura.

Che hanno fatto a Milano? Il Comune dagli affitti ha incassato 40 milioni di euro nel solo 2019, 80 miliardi di vecchie lire. E… gradite o cafè . 

L’università? Milano ne ha sette

La musica? Milano ha La Scala-

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