La straordinaria colletta per la chiesa del Carso e i calcoli di Montemurro

La straordinaria colletta per la chiesa del Carso e i calcoli di Montemurro

27 Luglio 2020 0 Di Lidano Grassucci

La mattina presto di luglio il fresco porta alla piacevolezza di stare negli angoli di questa città restata ipotetica, come il volo del tacchino, che è Latina. Ma anche nelle ipotesi si sono storie che se proseguite, curate, sentite, amate avrebbero portato altro amore o, solo, l’amore che manca. Certo è che alla città bella non ci si po dice, ma ventilata agli angoli certo che si. Veniamo alle storie.

E’ la storia, questa, di una chiesa, quella di Borgo Carso intitolata alla Madonna dei campi, e capirete pure perché. La messa, prima della sua costruzione,  si diceva quasi in una baracca e, quindi, qualcosa bisognava fare per dare dignità al Signore. Lì, a borgo Carso, dominava e domina il mulino Borsato e non altro, non c’era campanile e manco le campane. Come se fosse un’oasi “senza” dio. Il prete, Don Giuseppe Di Bella (non un prete così, uno alla don Camillo, uno da questo mondo che per l’aldilà c’è sempre tempo,  decise di mettere fine a questo torto: dobbiamo fare una chiesa e grande. E lo fece come fanno i preti (che sono furbi come preti, lo sanno loro stessi che si “vietano” la discendenza), “tassando” il grano dei contadini. Se non ottemperavi? Non c’era paradiso dopo e ti facevano passare l’inferno qui nel mentre. Insomma storie di preti e della voglia di onorare dio ma a pagare sono sempre i contadini, ma l’intitolazione alla Madonna dei campi è precisa.

Ma mica bastava (i contadini si sa sono sempre alla canna del gas per quel brutto vizio che non si vogliono levà di mangiare e pensare alla dote dei figli e qualcuno voleva il figlio dottore), ci voleva di più per fare una grande chiesa, una chiesa degna del Carso.

Il prete allora chiese soccorso ai padroni, agli industriali, a Santino Palumbo. Erano tempi ancora di pionieri, tempi che l’economia cresceva come le piante di gramigna, pareva inarrestabile e Santino offrì il lavoro per fare l’opera, quelli del mulino, i Borsato, non si fecero guardare in faccia e ci misero la campana. Serviva un ingegnere per fare i calcoli e il progetto su alcune fondamenta già avviate, gratis pure lui, chiesero aiuto a Italo Montemurro che, naturalmente, si presto alla iniziativa e fece calcolo e progetto sperando nella Grazia della Madonna.

Quindi i contadini ci misero “volontari” i soldi, Palumbo il lavoro, Borsato le campane, Montemurro la professione e il prete?

Disse messa, anche se si narra, non usò mai le campane per una questione di campanile con i donatori.

Montemurro fece la chiesa di Dio del Carso ma, e sorride a ricordarlo, aveva fatto (e con la stessa parcella, niente) anche la casa del popolo a Roccagorga. Dice come servi Stalin e i preti? Ma questa è un’altra storia che capiscono le persone di questo posto che venerano Dio nella sua giustizia per il popolo nel suo bisogno e, forse, sono la stessa fede. Poi i calcoli non predicano e non bestemmiano ma reggono i tetti.

Tempi in cui la città si faceva di volontà, i preti facevano i preti, gli imprenditori i mecenati e i professionisti restituivano il lavoro ad una città che ne offriva tanto. Questa è la storia fatta di una strana colletta, di personaggi affardellati e di un mondo da fare ma… che è già perduto.

 

Nella foto di copertina Italo Montemurro, in pagina la facciata della chiesa