Ai padri, i tata che mancano. La pazienza di Giuseppe

Ai padri, i tata che mancano. La pazienza di Giuseppe

21 Dicembre 2020 0 Di Lidano Grassucci
Giuseppe è sempre messo di lato, in ombra, poi quasi lo si dimentica nel corso della storia di tutte le storie per noi cristiani. Giuseppe accetta, forse senza capire, cose incomprensibili a saggi, rabbini, teologi, sacerdoti di tanti credo e filosofi sopraffini. A lui la storia assegna un compito che ha solo oneri e mai amore, fa partorire la Madre, salva il piccolo correndo in Egitto, capisce che è destinato a farsi da parte. Seguite la storia è la storia di una bontà di chi ama, perché Giuseppe, e nessuno lo scrive, ha amato Maria anche se non era destinata a lui, ha salvato quel figlio che non era figlio e si è perduto. Ma lui sapeva del suo amore e del disegno a lui destinato,  ha accettato, ha accettato. Giuseppe, in fondo, è così per ogni padre che parte per il mondo, che salva figli che non sono mai suoi ma sempre del mondo, figli che lo dimenticheranno perchè non capiranno salvo puoi farsi padri e “sentire”. Troverete nel racconto la parola tata, è papà in setino, è come mio padre chiamava suo padre ed io nel ricordo della parola onoro lui.
Oggi ho conosciuto mio padre
……
Ho capito che quando lui soffriva
Per un figlio che non capiva
Non era di vergogna o di delusione
Ma solo che mi voleva bene

E quando tornavo sconvolto la sera
E non raccontavo mai la mia vita vera
Lui non riusciva a trovare il modo
Per parlarmi e potermi aiutare

Eugenio Finardi, a mio padre
AL MIO TATA
Vi confesso la tristezza di questo tempo. Dicono che sia nato di questo freddo, che sia stata di madre umana ed il padre cercava in quell’amore la ragione di un umano amore, ma era divina la sfida.
Quella madre, quel padre e quel freddo. Si, ciascuno di noi lo ha sentito, madre e padre a riscaldare. Il treno è pieno, tanti vecchi signori, ma… tutti, uno per uno, sono stati bimbi curiosi, amati come delicati fiori da madre e padre, dal sogno di un amore così forte che è vita di ogni bimbo.
Si, vi confesso la tristezza di questo tempo di quelle mani che non ho più, e il bimbo si fa uomo solo orfano di ogni suono. Dicono che il padre sia andato via per mano romana, in una città lontana. Ma, dicono che di questo freddo lui, il Nazzareno, ricordi quell’uomo che donò al mondo il suo amore non capendo il cielo. Un padre fatto di amore il mio non mi chiese nulla, solo un ultimo lavoro insieme. Non falegname ma contadino, padre mio ti saluto perché dovevamo dirci, già non ci siamo detti tutto.
Ora mi vedi da lassù e sai tutti i miei torti, li riconoscerai nei tuoi, non capirai i miei. Sapere di una madonna non è facile se è la tua donna, il mistero è qui che visto da noi umani è grande e non finisce mai. Vi confesso la tristezza di questo tempo, quel bimbo è uomo, è ogni uomo e non c’è la pietà di madre, la saggezza ruvida del padre, tra le pietre cerca le olive, olio ad ungere la vita.
Vi confesso la tristezza di questo tempo, vi vorrei qui per dirmi che non ci ho capito niente. Di questo tempo è più triste, ma si nasce, si muore e, dicono, sia risorto.