Covid e venerdì santo: la processione di Sezze in tv e quel bisogno di “recuperare” il senso di morire

Covid e venerdì santo: la processione di Sezze in tv e quel bisogno di “recuperare” il senso di morire

2 Aprile 2021 0 Di Lidano Grassucci

Non si moriva più, la morte era qualcosa che “non viveva tra noi”. Avevamo creato una civiltà senza fine, si finiva uno alla volta senza alcuna memoria. Si viveva sempre.

In questo mondo senza morte i riti del venerdì santo e la processione di Sezze che ne è uno dei più antichi dalle nostre parti era diventato una “attrazione turistica”, da espressione di fede.

Da due anni la processione non si può fare, ma da due anni si è tornato a morire in un incredibile paradosso che ora è tornato il senso di quella “espressione di fede”. Andrà in televisione quest’anno, ma solo lì (Su Lazio Tv), ma ora è tornata vera. Perché abbiamo visto i camion in fila che portavano le bare, perché tra chi è andato ci sono Peppo, Lidano, umanità tra noi e non oltre noi, prescindendo da noi.

Oggi si capisce anche se non  si può fare. La morte era così alienata da noi che tutti, nessuno si escluda per favore, abbiamo fatto di cimitero non riposo ma mercato, non rispetto ma rumore.

Quei riti della settimana santa, quella processione del venerdì troppo spettacolo poco fede, era un termometro di un mutamento che, forse, ci faceva più moderni, più mass mediali, ma non credo migliori.

Quest’anno la processione sarà solo in tv, ma è tornata tra noi, oggi le croci all’anfiteatro sono tornate a segnare quel Golgota che quelli del mio tempo hanno sempre pensato che era quello vero. Perché il Golgota è in ogni luogo in cui si soffre: per ingiustizia, per troppa giustizia, per volere di padri che pretendono troppo, perché è nel pacchetto del vivere.

Oggi che la processione sarà solo in tv forse si può ricominciare a riconsiderare la morte come cosa che ci appartiene.

Mia nonna, Za Pippa, era sempre vestita di nero che non la “sfinava” affatto, ma la rendeva memoria del “ricordati che devi morire”. E non era una comunità più triste dell’avidità di oggi, ma più orgogliosa.