Quando abbiamo assalito il tempo

Quando abbiamo assalito il tempo

19 Aprile 2021 0 Di Lidano Grassucci

Per vivere coerentemente con il proprio pensiero. Sii te stesso e non provare a imporre il tuo punto di vista sul resto. Non mi aspetto che gli altri vivano come me. Rispetto la libertà delle persone, ma difendo la mia libertà.

Jose Mujica, ex presidente dell’Uruguay

 

Sapete abbiamo sognato. Fummo giovani e… Pietro Nenni diceva “se non sei rivoluzionario a 20 anni a 40 sei confidente della polizia”, ne ho qualcuno in più e non confido.

Abbiamo sognato, i nostri genitori, nonni, avi, pensavano che la libertà era la dignità del lavoro. Noi pensavamo al diritto alle rose, alla “dittatura” della felicità. Non volevamo più lavorare per vivere, ma vivere per essere felici. Volevamo giocare col mondo, volevamo pensare come i filosofi greci, volevamo essere eremiti dalla fatica, volevamo…

Ci dicevano “e’ impossibile”. Noi vedevamo le macchine usate per farci lavorare più veloci quando era possibile non farcelo fare.

Cambiavamo il paradigma del mondo, le risorse del mondo, e il tempo scandito da 8 ore di fatica, 8 di sonno e 8 per noi nella dittatura degli altri, era “alienarci”, non essere mai noi stessi. La ricchezza per noi era creazione non ripetizione da catena di montaggio. “Lavorare tutti lavorare meno”, ma non lavorare niente era nella nostra mente.

Volevamo dare agli altri non cancellarsi per altrui profitto.

La felicità sono anche le cose, ma sono il tempo

Perché quando compro qualcosa non la compro con i soldi, ma con il tempo della mia vita che è servito per guadagnarli. E il tempo della vita è un bene nei confronti del quale bisogna essere avari. Bisogna conservarlo per le cose che ci piacciono e ci motivano. Questo tempo per se stessi io lo chiamo libertà. E se vuoi essere libero devi essere sobrio nei consumi. L’alternativa è farti schiavizzare dal lavoro per permetterti consumi cospicui, che però ti tolgono il tempo per vivere

Jose Mujica

Oggi è un vecchio lucidissimo signore uruguaiano che lo dice, ma ci fu un tempo che lo urlavano in piazza, anzi che cantavamo in piazza e le manifestazioni erano feste. I sogni erano umani, e anche l’amore non era avido e proprietario ma libero, tra liberi.

Poi, va be poi ci diedero droga e pistole. Abbiamo perso, ma resta inespresso il bisogno personale e collettivo di essere felici con le cose e dalle cose, di avere il tempo per vivere non di averne per attendere di morire.

Non volevamo medaglie e guerre, volevamo essere gli eroi che si stendevano sui fiori.

I nostri genitori ci dissero che non eravamo seri

Mio padre in fondo aveva anche ragione a dir che la pensione è davvero importante
Mia madre non aveva poi sbagliato a dir: “Un laureato conta più d’un cantante”
Giovane e ingenuo ho perso la testa, sian stati i libri o il mio provincialismo

Francesco Guccini, l’avvelenata

Ci siamo laureati, facciamo i conti per la pensione, ci siamo impiegati. Facciamo le teste pensanti della controrivoluzione

E ora?
Anche ora ci si come sente in due
Da una parte l’uomo inserito
Che attraversa ossequiosamente lo squallore della propria sopravvivenza quotidiana
E dall’altra il gabbiano, senza più neanche l’intenzione del volo
Perché ormai il sogno si è rattrappito
Due miserie in un corpo solo

Giorgio Gaber, Qualcuno era comunista

 

Foto: Edvard Munch, “Sera sul viale Karl Johan”