Amici al funerale nella macchina del tempo. Cronaca del “saluto” a Silvana

Amici al funerale nella macchina del tempo. Cronaca del “saluto” a Silvana

19 Giugno 2021 0 Di Lidano Grassucci

Quante vite abbiamo? I gatti, da sempre, sostengono di averne sette, gli uomini pensano di averne una, una sola e coerente, ma lo sanno che non  è vero niente.

Torno a Sezze per i funerali di Silvana Piccaro (Silvana Tromboccia),

il viaggio in chilometri è niente in sentimento troppo, in ricordi qualche cosa. Di Silvana mi colpisce è quasi l’ultima dei genitori della mia generazione e andando via lei noi diventiamo non più figli, ma uomini soli.

Arriva con il mio animo che non è di dolore, ma in onore a lei, è bersagliere. Sono lì, davanti la chiesa i miei amici, quelli di ieri. Stesse facce, stesse cose dentro, stesse ferite, stesse guerre, stesse ferite, ma diversi e forse non migliori.

Saluto, salutiamo, ci salutano. Ci sfottiamo, ricordiamo, raccontiamo storie nuove. Si avvicina un signore, ha la mascherina e i capelli brizzolati, riverente ed educatissimi mi fa “la voglio salutare professore”. Dico “come professore”. Lui “non si ricorda di me?”. Stringo gli occhi poco non vedo e qualcosa dimentico, lui si abbassa la mascherina, leggo i tratti del suo volto, ora lo riconosco al suo posto tra i banchi verdi di formica di una mia classe. “Ho piacere di salutarla”. Ammento ho provato un poco di orgoglio che quel lavoro lasciato tanti anni fa ha lasciato traccia e la traccia non è ferita. Viene Angela che mi ricorda di una cosa di anni fa, una ragazza che stava nel banco dei gelati… devio perché era uin segreto anche per i miei amici che erano la. Angela capisce e vaga, io un poco ricordo e non divago in me.

Ecco arriva Silvana con un carro funebre grande grande, che fa difficoltà a fare la curva, la stessa difficolta che fa a parcheggiare Giancarlo (Gincavetto) con la sua auto. Vado a salutare Alba la sorella di Silvana (o la figlia, o l’amica, o l’innamorata?). Mi chiama Lilli e piange, era vita anche questa di quella vita. Non sono capace tanto di restare, mi viene il magone.

Usciamo a fare quello che ho imparato da questa gente al tempo dei morti: si raccontano storie di vita e storie divertenti. La morte non ama le risate, odia i felici. E noi? Noi fummo felici con qualche Campari in più, qualche essenza di ingenuo Assenzio, qualche corsa al silenzio, e la scoperta di un mondo che forse non ci aveva previsto.

Ci sono i figli di Giancarlo, Flora, facce che da vicino mi vengono incontro.

“Vi ricordate quando sete radducchi da Rimini, che eravate ichi al bandiera gialla…”.

Angeletta ride, “non sete fatto niente al bandiera gialla”.

Una R4 passata di mano in mano, senza l’idea di una lire, e ogni parte del mondo era una scoperta.

La funzione fa da ponte. Silvana era minuta, sopra le ossa i nervi e la vita presa con le unghie, con i denti, con la volontà per farci fare a noi cose diverse, per non farci stare dietro, ma davanti.

Finisce, si va via. Noi restiamo, andiamo, come l’ingranaggio di un maestro orologiaio svizzero siamo al bar. Signori con ragazzi che ci guardano come fossimo signori, ma noi beviamo come restati ragazzi. Un Campari, poi si vedrà.

Un viaggio in tempi lunghi: il bimbo, l’adolescente, il ragazzo indecente, l’insegnante omologato, guardare una ragazza dietro un gelato e il vino per darsi coraggio, le indie lontane per farle venire più vicino. Il resto lo sapete tutti, questo è il mio viaggio ma il vostro sarà ancora di più.

Silvana se ne va, non abbiamo più mamme e papà, non ci sono i tata, non ci sono scuse. Però quella volta vedemmo i bisonti ed erano treni e ci sentimmo dentro una canzone di Francesco De Gregori e Bufalo Bill lo abbiamo conosciuti di persona, o almeno mi sembra. Già te ricurdi, me pare. Dammiano, “ma che iate dicenne era Tex”

C’era una caneletta con signori loquaci, ora non c’è più voce.

 

Nella foto: Evocazione, il Funerale di Casagemas,  Pablo Picasso (1901)