
Ciao Marcello Battocchio, ora insegnerai agli angeli a fare i muri con la pietra
2 Gennaio 2023Mi manda un messaggio su Whatsapp Luigi, Gigi, mio amico da quando sono nato. Secco il messaggio “Zio Marcello è morto”. Resto basito, da alcune settimane mi girava l’idea di “debbo andare a trovare Marcello”. Anzi un giorno che stavo con Enzo Eramo e altri amici a Sezze ci sono passato, la moglie mi ha detto che non c’era. A volte ci sono sentimenti che… è andata così.
Marcello Orlandi, detto Battocchio, era un grande amico di mio padre. Praticamente sono nato con i Battocchio.
Papa e lui andarono fino a Milano, insieme all’altro fratello Battocchio, Alberto, a “cercare di fare l’impresa”: Muratori meneghini si fecero. Dal lunedì al giovedì tra la nebbia, il venerdì, sabato e domenica a fare casa mia a Latina.
Marcello era cucchiara rifinita, papà mezza cucchiara. Io mi mettevo accanto, in cantiere, a Marcello che parlava assai ed era esilarante: un manovale gli stendeva la calce, un altro gli metteva il blocchetto, uno gli portava la carriola, un altri gli passava “i feri”. Lui protestava per la consistenza della calce, poi per come portavano i blocchetti, per i feri sbagliati. Con il manico della cucchiara, cappello di carta de L’Unità in testa (già riciclavano le idee), dava colpetti per mettere a piombo il blocchetto rispetto al muro e ripeteva “co la pietra ve volaria vedè, co la pieta ca co gli blocchechi so tuchi muraturi” . Rivendicava la sua maestria e maestro era. Brillante nella conversazione e…
Conobbe la moglie a Milano, sapeva cucinare e aprì il ristorante che porta il suo nome lì ho mangiato la prima volta, a mia memoria, ad un ristorante ordinando con papà una esoticissima “cotoletta alla milanese”. Alberto il fratello lavorava all’Adisu, l’azienda di servizi dell’università, e papà, non avendo idea di cosa fosse l’università mi affidò ad Alberto per il controllo sulla mia vita romana. Controllo vano.
Poi serate passate al suo ristorante. Mio padre è morto quasi 20 anni fa, lui, in fondo, essendoci ancora me lo rendeva vivo, presente. Oggi ho poche scuse per questa illusione.
Marcello era uomo di sport, gli piaceva la bicicletta come a tutti quelli della sua generazione, ma ha seguito il calcio, l’atletica come mi ricorda Enzo Eramo “non si tirava mai indietro per lo sport di questo paese”. La bicicletta con papà e Marcello sulla Vespa 150 con la scritta sulla carenatura d’avanti “Giuria”, la sigaretta in bocca a seguire la corsa, forse poco imparziali, ma con generosità incredibili.
Generoso in silenzio in un paese dove spesso ci sono rumorosi egoismi. Marcello era quel che mi restava, ora è ancora meno, di un mondo che pensavo bellissimo e forse non lo era, ma per me resta così.
Andavano a Milano in 500 e certo non in 4 più le valige, in Millecento ancora più stretti. A Natale tornarono la prima volta con il panettone Alemagna, aveva la scatola con disegnato il Duomo, e ho scoperto un mondo, credendo che il mondo avesse per le colonne d’Ercole l’Appia.
Ciao Marcello, saluta papà e farete muri come a Milano, a Latina a Sezze, litigherete un poco e tu tela prenderai con gli angeli che non sanno fare i muri a pietra.
I funerali domani alle 11, a Sezze nella chiesa di Santa Lucia nuova