
Educazione
12 Marzo 2023L’uomo più saggio che ho conosciuto non sapeva né leggere né scrivere. Alle
quattro della mattina, quando la promessa di un nuovo giorno ancora indugiava
sulla terra di Francia, egli si alzava dal suo giaciglio e andava nel campo, per
dare da mangiare alla mezza dozzina di maiali la cui fertilità nutriva lui e sua
moglie
Jose Saramago, prolusione al premio Nobel
L’uomo più colto che ho incontrato io? Neanche a dirlo, mio nonno. Sapeva di tabacco e vino e parlava quasi niente, ogni tanto uscivano dalla sua bocca parole ma nessuno inutile, nessuna da sprecare. Sapeva poco di felicità, ma tanto di come nella vita si “tribola”. Tutto di un pezzo, così testardo che il mulo più testardo restava docile a lui. Rispettava il lavoro degli altri, perchè non guardava il risultato mai ma la fatica del fatto sempre. Non sentiva alcuno sopra di lui perchè non ne aveva di sotto.
Ogni tanto cantava di una “ciociara che voleva andare a Caserta con una ciocia rotta e l’altra sfasciata”. E rideva facendomi saltare alzando le sue gambe su cui ero poggiato e mi teneva le mani, e rideva rideva per farmi ridere.
Un bimbo tenero alla vita e un uomo duro al vissuto. Aveva tabacco e caramelle di menta nelle tasche, sempre e sempre le regalava per dire “grazie” anche ai bambini perchè sapeva lui, uomo fatto, che avrebbe avuto, che aveva, bisogno di loro. Si faceva spiegare il mondo nuovo in italiano, mi raccontava del suo passante in dialetto, ma scandiva le parole per essere compreso. Il lavoro era per lui quello che per nonna era la Madonna: un bisogno, il mondo, la natura, la vita stessa. Non faceva del male, ma non se lo faceva fare, neanche pensare.
Mi insegno che non ci sono cappelli che fanno professori, ma libri che fanno saggi e conoscenza che insegna il rispetto per farsi rispettare.
Non aveva letto tanto, non leggeva spedito, e quando leggeva vivisezionava le parole segnando la riga con un dito così grosso che ne nascondeva due. Ma sapeva del paladini di Francia, credo che in segreto amasse Angelica che non aveva mai veduto, lui che dell’amore, forse, non si era mai avveduto. Sapeva però con sapienza dell’anarchia che sta nella pancia di chi ha visto buoi ribellarsi al giogo, cavalli alla briglia e uomini uccidere la prepotenza nella sua onniscienza.
Si mise serio un giorno, non ero più piccolo e sulle gambe davanti al camino non ci potevo stare. Mi fece sedere, faceva sera, ed era quel tempo che passava dalla fatica al vino, dal campo all’osteria. Posò il cappello che portava un poco alla bersagliera, calzoni alla zuava fatti di fibra grossa, camicia ancora più grezza e senza cravatta alcuna: i’omo non te padrono, maco gl’asini volo i padrono. Tu non te levà mai i cappeglio puro dinnanzi agli Papa
Il Papa non gli piaceva, i sacerdoti meno ma, ma i santi no quelli li conosceva tutti e li considerava uno per uno correi dei fallimenti, ma anche speranza nei prossimi cimenti. Erano come lui uomini per Dio come lui lo era per la sua libertà.
Naturalmente li imprecava tutti, uno per uno per non fare torto alla loro responsabilità nel corso delle cose avverse.
E quando tutto era perduto? Chiedeva alla madre, alla madre di tutte le madri, alla madre dei tribolati. Ma non chiedeva grazia, sconti, ma il giusto: la notte quando era solo, impossibile ad ogni cosa, costretto, lui libero, al giogo del letto, del male e della sedia non per il dolore ma per la dignità gridava “famme venì co ti, mo basta. Accosì cionco no, è tempo di morì e me teta aiutà”.
Perchè gl’omo po’ fa tutto puro radduce alle 4 della domano, ma alle 5 se teta arizza pe i a fadia. Lo disse a me, per insegnarmi la vita, lo pretese a se quando non potendo più lavorare non era più uomo e quindi era tempo di andare.
Ho rispettato l’assunto, non per dovere ma perché volevo essere come lui: un uomo.
Dimenticavo, mi spiegò il coltello. Lo portava sempre con se, si apriva a scatto. Lama affilatissima, mi disse con questo ci sbucci le mele, con questo ci tagli il ramo, e con questo sei libero nella natura tua di uomo e gli altri che lo vedranno sapranno dividere le mele e non alzare la voce. Nu non semo gente de lite, ma sapemo litiga, mai usalo pe primo, ma mai pe l’ultima vota. Capirete perchè sono mite ma non buono, non buono mai e di me non fate di conto se in cuor vostro avete già tradito per egoismo o vanteria, se siete in grazia da me avrete ogni grazia, altrimenti non mangio le mele.
Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia, quand’ella altrui saluta,
ch’ogne lingua devèn, tremando, muta,
e li occhi no l’ardiscon di guardare.
Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente e d’umiltà vestuta,
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.
Sì, con queste strofe poi parlava in un italiano che pareva perfetto, come se dentro quell’orco di nonno mio ci fosse un angelo che vedevo solo io.
Nella foto: Giovan Battista Tiepolo, Angelica e Medoro