Ciao Ico, pensa che sarebbe stato bello se ci fossimo riusciti. Il saluto di Luca Velletri

Ciao Ico, pensa che sarebbe stato bello se ci fossimo riusciti. Il saluto di Luca Velletri

7 Settembre 2023 0 Di Lidano Grassucci

IL MIO SALUTO

Era grande, grande… un uomo grosso avrebbe detto Paolo Conte. L’impatto con lui è stato al liceo, il Grassi. Liceo di fichetti di piano e io venivo dal monte. Liceo che si autoproclamava “produttore” di classi dirigenti, tutti vestiti uguali. Lui era grosso, ma grosso e stava dalla parte nostra, di quelli che stavano lì non per manifestare il loro essere, ma per provare a provarci nella vita.

E’ morto Ico Mattei, lo so perchè Damiano Di Tullio legge un post di Grazio Vegliante. Io controllo e capisco leggendo quel che scrive Luca Velletri. Vedete è un circuito di generazioni, un campo coltivato a esperienze, poteva uscire rose, grano, siamo usciti noi.

Ico era spiritoso, spiritoso fino alla goliardia che diventa cifra unica della vita. Andava per mare, poi la salute che secondo nessuno di noi gli avrebbe mai fatto difetto, lo ha “atterrato”, ma lui dritto con lo spirito e ancora…

Era il 2016 governo nuovo di Coletta, io rompo i coglioni e Ico mi “attacca”. Criticando appoggi i destri, io gli rispondo: ma ai destri li ho attaccati quando comandavano. Ne riparliamo a voce. E ci siamo incontrati tante volte in treno, a spiegare, a capire, a rilitigare e a prenderci in giro.

Che bello il tempo nostro, quello che davanti avevamo tutto il tempo e al liceo imparavamo semplicemente a stare nel mondo ma non da muli, ma da cavalli.

Era grosso Ico, una montagna. Gli altri, al liceo, erano di più, ma noi “eravamo”. Poi Ico era grosso.

Ora piango un poco, ma poco, perchè lui avrebbe sdrammatizzato tutto con l’ironia, il paradosso che sono le cose che fanno emergere una merce rara, l’intelligenza.

Però, però se ci fossimo riusciti, pensa Ico come sarebbe stato bello.

Se ci fossimo riusciti. (Se non si è capito, noi eravano i rossi)

Io volevo sapere la vera storia della genteCome si fa a vivere e cosa serve veramentePerché l’unica cosa che la scuola dovrebbe fareE’ insegnare a imparare
Eugenio Finardi, Scuola
IL RICORDO DI LUCA VELLETRI
Un mese fa.
Solo un cazzo di mese fa.
Era il 6 agosto, una domenica afosa come la colla, e avevamo deciso di andare a Ninfa a vedere lo spettacolo su Calvino di Massimiliano Farau, tanto suonano Giorgio Erasmo e Nicola Borrelli, mi ero pure preoccupato che non ci fossero più biglietti e Massimo Amodio mi aveva rassicurato “da noi per te c’è sempre posto”.
Dai Terè sbrighiamoci non mi va di arrivare giusto per lo spettacolo voglio salutare sta gente mia che non li vedo da un po’, al limite ci prendiamo un tagliere prima e poi ci andiamo a sedere.
Una voce stentorea: “Ehi tu, sì proprio tu regazzetto magro?!”
Ho capito va, Terè va a prendere i biglietti da Clemente e Melania che io mi fermo con Alice qui.
Vedi Ali questo demente qui davanti che ride sotto sti baffoni come il paraculo che è sempre stato è uno dei più cari amici di papà ma ti parlo dei tempi quando eravamo piccoli, ma piccoli davvero, tipo 5/6 anni. In quel tempo viale Petrarca finiva su via Alfieri e poi iniziava uno sterrato fino a via Capograssa ora via dei Volsci, uno due palazzi e una distesa di campagna a perdita d’occhio. Così dall’altro lato c’erano giusto un paio di palazzi a via Monti e le case popolari di via Cicerone e via Ulpiano, dritte fino a via Giustiniano e l’Immobiliare, Villaggio Trieste ancor da venire.
E attorno solo terra montarozzi e ragazzini che gridavano giocando a tutto il giocabile, sbucciandosi gomiti e ginocchia fino a sera e volendosi bene contro tutto e contro tutti.
“Si Ali, tuo padre è uno di quei ragazzini là, oddio delle facce di bronzo che non ne hai un’idea, ma che si sarebbero fatti mettere in croce per un loro compagno. Altro che bullismi o ammennicoli di modernariato, tutti per uno uno per tutti come i moschettieri del re. Che poi il re ero io…” Mbe mbe come no, il re la regina e mpar de principini messi insieme, eri du volte poro Eugenio Cugurra…
E ci siamo ammazzati dal ridere, ricordandoci di tutto e di tutti, un mondo meraviglioso tutto nostro, finché dindon siamo andati verso lo spettacolo.
Finito tutto, tornando indietro “ma lo sai che quasi quasi un gelatino”… Ico ma che mme pijo? “Questo!” Perché? “Perché io me pijo questo e allora pure tu!” Risposta esatta…
“Senti Ali, fatti promettere da tuo padre che ti mostri un post che scrisse qualche anno fa per la nostra maestra che morì a più di 100 anni. Sai, gli avevo promesso che saremmo andati assieme a salutarla, tanto avevamo tutto il tempo visto che lei era immortale, poi invece ci ha fregati tutti e puff tutto insieme se ne è andata. E ancora mi massacra perché non ho mantenuto la promessa”…
Pure tu ci hai fregati tutti e puff tutto insieme te ne sei andato.
E manco adesso hai mantenuto la promessa, pezzo di cialtrone. Mi avevi promesso una sera insieme, noi le famiglie una pizza o una vongole e frittura, che ci dobbiamo respirare, addosso, che cosi non po esse, “perché la vita è un brivido che vola via, è tutto un equilibrio sopra la follia”.
Sopra la follia…
E invece te ne sei andato così, senza manco avvertire, lasciando un vuoto uno smarrimento che quello si non po esse…
Te vojo ammazzà…
Allora io, che so più bravo de te mille a uno e tifo pure per la squadra giusta, mantengo la promessa che mi hai fatto fare ad Alicee la taggo su sto post antico di cui le parlavi.
Che mo che lo me rileggo ma mica parla così tanto della maestra eh. Eggià maguardampò, fa ride ma il vero destinatario di quel post eri proprio tu. Ed è per quello che te lo eri ricordato, marpió. Perché parlava di te di me, parlava di noi, di quei bambini che non ne vogliono sapere di diventare grandi, che anche in mezzo al disastro allo sfacelo più totale je sbrilluccicano gli occhi sempre e comunque. Quella generazione di fenomeni che si voleva bene e che era felice l’uno per l’altro, orgogliosa di ogni gioia reciproca, altro che ste mezze invidie de piccolo cabotaggio e ste sozzerie de chi nun ce somija.
Ciao Ico, ciao Icomattè, ciao Gigante: figlioli come noi la mamma nun ne fa più, s’è rotta la macchinetta…
Si Ì, te vojo ammazzà.