Singin’ in the sun a Latina: quadro del risveglio di città

Singin’ in the sun a Latina: quadro del risveglio di città

19 Settembre 2023 0 Di Lidano Grassucci

E’ mattina, le strade che portano a Latina paiono “impicciate”, “indaffarate”. Le auto sono uova con dentro pulcini smarriti o cabine telefoniche dove si litiga o si ama da soli.

Le strade non prevedono curve, le curve non sono di queste strade. Alla prima circonvallazione spariscono tutti, cancellati. Come si ad una maratona a poca distanza dall’arrivo, tutti i corridori uscissero di lato. Il centro è un buco dove ci sono che rari tuareg, neanche la Legione straniera è prevista. E’ uno stadio dopo la partita è…

Una signora gira con due cani, piccoli piccoli. Un’altra con un cocker di una certa età con occhi tenerissimi da nonno canino e va piani, piano.. Qualche auto rada cerca posto, poi apposto resta lamiera al sole, prima della sua umanità. Non c’è un bambino, non c’è un ragazzino. Le commesse fanno a gara di eleganza, ma con poca speranza di avere il negozio pieno. Nei bar sono gentili, ma ci si ferma un attimo e poi si va. Una cosa si muove, la bandiera del Comune il cui edificio pare la base per quello sbandierare in una torre piccola, quasi timida e sola anche lei.

Si salutano i pochi che salutano, ci sono pensionati che con la sedia da mare si sistemano all’ombra di portici sproporzionati per guardare il mare senza onde di piazza del Popolo, che nel nome porta un popolo che non ha, forse, non ha mai voluto.

Il sole è alto, qui non si sente la polvere del grano di giugno, manco il mosto di settembre, non c’è il fieno. Le vetrine parlano inglese, qualche raro indiano che chiede “Per la questura?” in uno stentato italiano.

Io, Filemazio, protomedico, matematico, astronomoForse saggioRidotto come un cieco a brancicare attornoNon ho la conoscenza od il coraggioPer fare questo oroscopo, per divinar responso

Non riesco a capire. Le città nascono, vivono, muoiono, risorgono talvolta, altre volte si dimenticano e la polvere, il vento, la pioggia piano piano le cancella, ma prima di ogni cosa va via la gente, d’improvviso.

Eppure, qui c’è stato il tempo del motore, qui tra l’umana gente chi aveva una idea era un inventore, chi aveva un sogno era sognatore, chi immaginava la bellezza si faceva artista, chi pregava era già prete. Qui era ogni cosa possibile, ora è niente reale.

Bevo un caffè, nero bollente, mi danno acqua frizzante e mi illudo di champagne per via delle bollicine.

Fuori il sole fonde l’asfalto e mi danno compagnia. Pago un soldo e vado via. Sarebbe stata bella la città mia.

 

Le strofe citate sono di Bisanzio, di Francesco Guccini