Latina, il teatro che non c’è, e che Corona voleva alle autolinee

Latina, il teatro che non c’è, e che Corona voleva alle autolinee

4 Luglio 2019 0 Di Lidano Grassucci

Il teatro di Latina è ancora chiuso, e lo è da 4 lunghi anni. Se ne sarebbe costruito uno nuovo, bello e lucente. Non è il fallimento solo di Damiano Coletta, è dramma collettivo, è il monumento al regresso della città.

Eppure dietro c’era l’idea di Raffaele Muzio, la mente del sindaco Antonio Corona di fare di un agglomerato di case una città. I fascisti fecero di Latina tutte adunate e potere, Muzio e Corona, trasgressione libera del teatro, possibilità di fare pensiero, di sognare nella città quadro e squadro dove la curva, la salita, non erano previsti.

Certo Corona non capì subito, il teatro lo voleva fare sotto le vecchie autolinee, uno spazio per 300 posti. Ma Muzio insistette, alla ex Gil (Gioventù Italiana del Littorio) che allora ospitava l’istituto per geometri, per pensare alla grande. Si scontrarono per fare, poi un commissario e un sindaco, si fecero complici di regole, burocrati e timori, e la libertà di un teatro divenne tristezza di travet, di lettori di regolamenti.

Corona e Muzio sognarono svegli, questi ripetono zombie. Il teatro è chiuso, siamo un agglomerato di case.