Venezia o Sezze? “Stare” nel cinema e i pesci di liquirizia

Venezia o Sezze? “Stare” nel cinema e i pesci di liquirizia

1 Settembre 2019 0 Di Lidano Grassucci

A Venezia sfilano le dive, i divi, i registi si compiacciono, i critici si piacciono e il resto lo fa la laguna. E parlano citandosi, sentendosi belli e i fotografi sono gli occhi di chi pensano li guardi. E descrivono i piani sequenza come si fa di un montepulciano, di un barolo.

Ma io bevo, o bevevo, vino e il sapore è un poco diverso, più aspro di vita, più tragico d’esistenza, forse più abbondante.

Noi, quelli della mia generazione, non sono mai andati al cinema, noi stavamo nel cinema e la parola film non ci apparteneva, come la pellicola era solo il mezzo che ogni tanto si rompeva, le immagini, le storie erano di un altro impalpabile materiale, la fantasia. Esisteva solo il cinema.

Stare nel cinema è essere, in una sola domenica pomeriggio, prima Bruce Lee, poi John Wayne, poi 007 e Alvaro Vitali, o essere lo sguardo di Marcello Mastroianni o l’innamorato di Monica Vitti e poco dopo essere Giancarlo Giannini e travolgere Mariangela Melato, non dimenticando mai il primo amore Edwige Fenech.

Ogni domenica era Venezia, perché davano tre film contemporaneamente, una rassegna cinematografica. Un film di seconda visione, uno di karatè, uno dell’ingenuità erotichi di chi di sesso ne parlava tanto ma praticava niente. Dovevi scegliere, a Sezze c’erano due sale, Tomasso o Petrianni, fatta la scelta entravi nel cinema, ti vedevano non la visione ma la partecipazione.

Si piangeva, se c’era da piangere, si rideva se c’era da ridere, si stabiliva il giusto e l’ingiusto se era giustizia. Eravamo con i cowboy contro gli indiani, poi con Soldato blu cambiammo opinione e ci innamorammo dei Sioux o Lakota, degli irochesi. Cavalieri a pelo, orgogliosi davanti ai bari americani, i lunghi coltelli, che pure avevamo fino a ieri amato (si è volubili a quella età) e la passione quando sei nel cinema non fa sconti e non ha passato. Poi giunsero i film di paura squali, grattacieli che bruciavano, aerei mai presi che diventavano la nostra scuola di un volo e restano la nostra memoria delle paure nel volo. E con le navi pirate abbiamo battuto tutto il mar dei Caraibi e anche di più.

Si viveva il film, si cavalcava, si correva, si sparava si diventava protagonista e spalla, si viaggiava. E… si sentiva il dolore nella pelle, la paura nelle ossa.

Chi vinse il Leone d’oro? Certamente mio fratello Damiano che durante una scena dell’esorcista in cui la camera girava posseduta dal demonio, lui fece lo stesso, tutto si fece vorticoso e lui cadde svenuto, come la protagonista avvolta dal delirio, dai demoni. Perché il nostro demone era il cinema e, in fondo, cadevamo tutti svenuti.

Quadro, quadro la sala è invasa dalla luce ci stanno svegliando dal sonno. Ecco, riparte il cinema e si sente un collettivo “oooooo”, tornati a casa.

Una citazione a Filomena Danieli è dovuta nel ricordo di non entrare mai al cinema senza … “dieci lire di pesciolini di liquirizia da Veleria Cingolotto, poi arrivò Iolanda Zambotta, ma dopo 3-4 anni”.

Era come sbarcare sul molo del lido in motoscafo, pardon con i pesci di liquirizia.

Foto: Mariangela Melato e Giancarlo Giannini in “travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto” di Lina Wertmüller