Sezze, la classe del ’61: “quelli angelicati”

Sezze, la classe del ’61: “quelli angelicati”

7 Dicembre 2019 0 Di Lidano Grassucci

Questa storia ha una dedica, è dedicata a N’Ghitto, Marco, Raffaele e Paola. Loro non sono potuti essere con noi, per via che il tempo li ha portati via. Vorrei dire che la vita segna, ma vi assicuro che erano figli di una squadra di bambini che ci volevano provare e, come chiosa il filosofo Sgaracca, “nu, non semo litigato mai”.

E a Silvio Sacripanti, il maestro che 12 anni fa c’era ancora. E scusateci del resto 

Latina, notte umida. Mi aspetta Mario, Cacetto, fa l’architetto ed è un ragazzo (scoprirete poi che è un “gioco da ragazzi”, più che ragazzo lui), auto linda, precisa come lui. Appuntamento con Loretta, poi passiamo da Antonella e… guardo l’orologio sono le 20 meno dieci, se le giri e fai una corsa controtempo e corri corri, fino al 1967 cambia quasi niente. La campanella suona alle 8.30 e il maestro Silvio Sacripanti non salta un giorno, non sgarra di un minuto. Insomma “torniamo a scuola”. Ma siamo nel posto sbagliato, noi siamo di Sezze.

“Corri, Mario”, “Corri, Mario” che suona la campana.

Eccola Sezze, dio che è piccola, co se strade strette. L’appuntamento non è palazzo Rappini, manco alle Piagge marine, è da Pino Martufello che, a dire di Antonella, allora era il più bello. MI permetto di dubitare e Loretta “confessa”: “Ma Lì eri tu”. Estetica di oltre mezzo secolo fa. Mario da una incantata in setino, lui che parla italiano: “sta machina addo la mettemo”. “I michila atescci tanto n’ha rese niciuno”, gli rispondo. E la piazziamo al centro di piazza delle erbe. C’è Derniè, al secolo Massimo Marchionne, con gli occhiali, c’è Alfredo Gipsy lapaparozza, c’è il romano Alessandro, c’è Martufello che ha già incassato un bello, Maurizio Manni che a dirgli buono è poco, poi Antonio Moscona faccia cattivissima, ma che ride di gusto, Marco Accapezzato discreto forse più di Mario, c’è Montini con i baffi che rassicurano, c’è Sonia e Alessandra nelle medesima discreta presenza di quando questo tempo è partito e… naturalmente il leader fino al ’68, Sgaracca in forma smagliante che mette in chiari subito: “era beglio, intelligente e forte”, e mica se sbagliava. Naturalmente io qui divento Lilli e Gattino, per nome mio e di mio padre che di osterie non ne manco mai alcuna. Con Montini parliamo dei nonni amici e carrettieri, con Moscona dei padri amici e contadini.

E’ aria umida, bisognerebbe andare a caricare la legna, perché nel 1967 alle scuole Rappini ci si scaldava, poco, con le stufe a legna e noi (io no) andavamo a caricare le legna dalla legnaia che stava sotto la scuola. Si faceva una fila di microscopici legnaioli come nei cartoni di Asterix sulla costruzione delle piramidi.

Capotavola Alfredo, che pero con Pino Martufello accanto incassa una serie di “rinfrescate” di memoria, anche sull’età. Noi siamo quelli che se il maestro menava, a casa ci davano il resto, di quelli che hanno visto il “vinchio”, la lavagna con dietro i sassi, ma anche la carta geografica parlante se indovinavi collegando due elettrodi alla domanda e alla risposta giusta si accendeva la lampadina (inutile dire che ero il campione). Il vinchio di cui era fornitore ufficiale Maurizio Manni

Leggo la serata con gli occhi di Giulia, la sensibilissima figlia di Pino, che vede questi vecchi bambini, come si guardano i quadri fiamminghi sui mercati, colorati, incomprensibili, senza fili. Gli viene da ridere, quasi ha pietà di noi, e il papà già sta in cattedra.

 

Sgaraccca esprime l’ingenua nostra scoperta per “l’amore” verso le nostre compagne “amore angelicato” lo chiama (capite perché Silvio Sacripanti, il nostro maestro alla fine qualcosa ha dato, ci ha fatto poeti) . Dolce stil nuovo che non vale per le attese di Antonella di Alfredo che aveva i gettoni gratis dell’autoscontro, si piazzava in via Cappuccini nel terreno del nonno di Alfredo, pure lui Alfredo, e questo gli dava diritto ai gettoni gratis che passava al nipote che a sua volta “attendeva Antonella” e non li passava a noi che di giri più di uno non ne potevamo fare.

 

Quando non c’erano le autoscontro dietro la casa del nonno di Alfredo c’erano auto in disuso che noi “revisionavamo con la fantasia” e le facevamo diventare auto di Fantomas con inseguimenti fermi da mozzafiato.

I ricordi si rincorrono, evochiamo Luciano Coccia che Loretta “preferiva” a me, oggi pentita, ed io faccio scene madri. di Giangavetto con le lettere mancanti da alfabeto breve.

“Tocca bivi”, fa Pino, “su sempre Gattino”, fa pure isso i’oste.

Vi ho descritto il caos di un incontro tra bambini che da angeli stavano provando a diventare uomini in un posto che non sta al centro della terra, da un mondo che la povertà la toccava ancora con la mano, ma non si può dire che non ci abbiamo provato. Poi è andata come è andata, ma di sicuro ci abbiamo provato… se prendo quel Coccia lì