Alimentazione urbana 2 / La scollatura della pasta Agnesi e lo spreco alimentare

Alimentazione urbana 2 / La scollatura della pasta Agnesi e lo spreco alimentare

19 Febbraio 2021 1 Di Maria Corsetti

Quando abbiamo iniziato a pensare che la lotta contro lo spreco alimentare fosse una volgarità. Io un’idea ce l’ho, anzi più che un’idea è una convinzione. So bene come sono andate le cose e lo sanno tutti quelli che c’erano in quegli anni, gli anni ‘80. In principio furono i Pan di Stelle. 

Gli anni ‘80 proseguono. La strada che porta al Mulino Bianco viene lottizzata. Arriva la famiglia della Pasta Barilla. La mamma prepara la cena con la camicetta di seta e il filo di perle, a tavola anche i bambini bevono dai calici di vetro. In un’altra casa, di cui non si vedono gli esterni, ma è intuibile che sia in zona, una dozzina di amici preferisce la pasta Agnesi. Siamo nell’epoca in cui un marito può azzardare un’occhiata alla moglie per notificarle l’eccesso di scollatura. E lei si ricompone compiacente, invece di tirargli in faccia il piatto con tutte le fettuccine. Ma non è la scollatura – poca roba in realtà, un seno neanche intravisto, un’immagine di una castità disarmante – che rileva, quanto il trionfo di stoviglie e non è Natale. Un pranzo qualsiasi e tutti sono vestiti da cerimonia.

Il desiderio di emulazione si annida nell’anima italica. Si sviluppa in silenzio E in silenzio si spacchettano i corredi, quelli arrivati direttamente dalla bisnonna. Si aprono le porte del salone dal pavimento lucido, profanato fino a quel momento solo in occasione di matrimoni e funerali. Si arriva a ipotizzare l’utilizzo del servizio di posate da ventiquattro, dono di nozze. A fronte di tanta sfrenatezza bisogna rivedere il menù, fino a quel momento a base di lasagne e sughi cotti per quarantotto ore che uno schizzo sulla tovaglia richiede l’acido muriatico per la smacchiatura. A farci caso le pubblicità proponevano condimenti un tantino tristi, così nessuno si schiera il tovagliolo al collo. I primi tentativi mutuano dalle trasgressioni gastronomiche anni ‘70: pennette alla vodka o al salmone, cucinate con la panna, conosciuta fino al giorno prima solo montata sul gelato. 

È in questi precisi anni che noi forchettoni da fettuccina al ragù e pacchetto da portare a casa per ripassarlo in padella il giorno dopo, siamo rimasti fregati. Mica ti puoi presentare a casa di qualcuno che ha apparecchiato con la tovaglia ricamata a mano da vergini di tre generazioni e chiedere gli avanzi. 

Abolito il pacchetto al ristorante. Chiederlo è volgare, anche se è rimasto cibo per un esercito. Costretti anche a lasciare la mezza bottiglia di vino, non vorrai portartela a casa.  Poi il ristorante la miscela con altre mezze bottiglie e ci fa il vino della casa, ma questo a noi non interessa. Ma io con quel vino ci avrei cucinato, ora mi tocca comprare il Tavernello. Ecco, vedi di comprare il Tavernello di nascosto e travasalo in vetro appena arrivi a casa. Quindi smaltisci il contenitore del Tavernello in assoluta segretezza, mettilo in una busta che non sia trasparente prima di gettarlo nei rifiuti. Che se qualcuno ti arriva all’improvviso e ti va a curiosare nella pattumiera che figura che si rischia. 

Sono andate così le cose, tutti a dare la colpa all’edonismo reganiano e a Berlusconi. Ma la realtà è esattamente quella di cui sopra e noi, che in quegli anni c’eravamo, lo sappiamo benissimo. 

Per gli anni ‘90 ci aggiorniamo a domani. 

 

Alimentazione urbana 1 / Dal Pan di Stelle alla Magic Box